di FRANCO FESTA.
Nel programma elettorale dei 5 Stelle avellinesi, al primo posto, compare il tema della democrazia diretta. Va subito evidenziata la sua genericità, che si ammanta ora di pratiche di reale democrazia, su tutte il bilancio partecipativo, sia di semplici arricchimenti della democrazia rappresentativa ( i referendum , le istanze, le petizioni e le delibere popolari). Vi è infine il solito impegno alla trasparenza degli atti, prezzemolo di ogni minestra presente e passata. Va aggiunto che su questi temi non siamo all’anno zero. Negli ultimi anni più volte il regolamento comunale si è arricchito di queste istanze, e nel concreto è ad Avellino che si è realizzata, nei mesi scorsi, una pratica autentica di democrazia partecipata, il progetto di rigenerazione urbana del quartiere di Valle, nel quadro del Programma Integrato Città Sostenibile (PICS) con un’attenzione specifica verso l’area dei prefabbricati pesanti di Via Ponte I.
La prima valutazione da fare su questo tema è l’estrema confusione che caratterizza il programma dei 5 Stelle, segno di una incomprensione totale di cosa sia la democrazia diretta, quella partecipativa, quella rappresentativa. O forse non è neppure incomprensione, ma semplice disprezzo verso i cittadini, ridotti a popolo rumoroso che lancia anatemi, manifesta rancore, clicca su un mi piace in Facebook, la nuova piazza, fatta di finte moltitudini, di sovrapposizione di solitudini colme di risentimento. Una massa indistinta il cui unico ruolo è ascoltare e condividere i proclami che arrivano dall’alto (dal vicepremier, dal sottosegretario, dall’onorevole di turno) che pretendono, essi sì, di interpretare tutte le esigenze. L’esatto opposto della democrazia partecipativa, che è interazione tra società e istituzioni, tra chi governa e i cittadini, non popolo stolto, ma presenza forte e autonoma, che agisce come singoli o attraverso associazioni, che opera nella procedura che si costruisce, ad esempio intorno a un progetto di miglioramento, con autonomo attivismo e capacità di iniziativa, e in tutte le fasi, a partire dall’istruttoria del problema, alla consultazione costante nei vari passaggi progettuali e attuativi, fino alla alle stesse decisioni finali. Così, in piccolo, si è sperimentato a Valle, sia pure con incertezze e imprecisioni, ma con la volontà di un miglioramento costante. E ciò ha fatto crescere sia i cittadini che vi hanno partecipato, che lentamente hanno abbandonato, almeno in parte, il loro classico atteggiamento nei confronti del Comune, visto come luogo oscuro e lontano, a cui rivolgersi al massimo per queste o richieste di favori privati, sia le istituzioni, che si sono aperte a un modo diverso di amministrare, a procedure queste sì davvero trasparenti. Una sfida insomma, autenticamente democratica, il cui fine concreto è un riconoscimento reciproco del ruolo tra le due parti.
Vista così, la partecipazione è nemica acerrima del populismo rumoroso e vuoto dei Cinque Stelle, il cui meccanismo è teso a schiacciare i cittadini al ruolo di meri spettatori e accaniti applauditori delle magnifiche sparate di chi governa. D’altronde l’ autentica partecipazione è un arricchimento della democrazia rappresentativa, che si esercita con una forte presenza alle elezioni, con l’azione coraggiosa degli eletti a far funzionare gli enti, in primis i Consigli Comunali, con un positivo rapporto con i partiti, i sindacati e tutto il mondo associativo. Tutto ciò, ovviamente è il contrario del disprezzo manifestato da Ciampi e dai suoi nei confronti dei consiglieri eletti, della loro messa alla berlina, dell’odio manifestato per la normale dialettica democratica- la sceneggiata di ferragosto è partita dalla discussione di una normale delibera-. Dunque lo svilimento delle regole che caratterizzano gli organismi rappresentativi, la pratica del dileggio verso partiti e movimenti, che ha ferocemente caratterizzato i primi mesi di governo di Ciampi e della sua giunta, è un macigno sulla strada della reale partecipazione dei cittadini.
Il giochetto è semplice: da un lato la denigrazione dei principi con cui si esercita la normale funzione di un’amministrazione comunale, dall’altro l’appello indistinto al popolo, a una fantomatica democrazia diretta, senza regole, senza procedure, chiusa nel circolo chiuso del web, in attesa del proclama del giorno su facebook.
Tutto cio è esattamente antitetico al modo in cui nel tempo la democrazia partecipativa si è andata a configurare. Che sia conflitto con le decisioni dall’alto, com’ è stato all’ inizio, nelle pratiche della città brasiliana di Porto Alegre, su cui ritorneremo, che sia interazione costante dal basso all’alto, e viceversa, su iniziative e progetti, tutto è fuorché il disegnino smozzicato e inconcludente prefigurato dai 5 stelle, perché ogni pratica richiede un ruolo rafforzato degli enti elettivi e un compito autonomo, di crescita, di sviluppo creativo dei soggetti popolari, non un popolo che applaude supinamente al capo.
E’ evidente cioè che, qualunque sia la forma, lo sviluppo dei dispositivi di partecipazione e le tendenze populiste e plebiscitarie stanno all’opposto l’uno dell’altro.
Va qui aggiunto un singolare particolare. L’ossessiva sottolineatura degli sfasci del passato, della corruzione di quelli di prima, di una città distrutta dagli amministratori precedenti, rimane fine a se stessa, una cantilena, una specie di palingenesi che avviene solo per negazione, che non si nutre di idee, e che dunque resta confinata in un universo mitico-magico- comico. Se i 5 Stelle avessero studiato almeno la storia degli ultimi anni, saprebbero che proprio sul tema della lotta alla corruzione e dalla singolare condizione di un sindaco in minoranza nel suo consiglio Comunale a Porto Alegre si affermò un movimento, destinato a crescere nel tempo, che si nutrì della partecipazione dei cittadini e della costruzione di un nuovo mondo, a partire di una nuova possibile città. E’ nella carta di Porto Alegre che viene ridefinito un ruolo per la città e i suoi abitanti, a partire non da generiche affermazioni, ma da un analisi profonda del tema delle disuguaglianze e della giustizia sociale. Le prime due proposte della Carta sostengono :
- Riconosciamo il diritto alla cittadinanza nei nuovi spazi pubblici creati dai processi di urbanizzazione. Si tratta di socializzare la condizione di cittadino. Creare le condizioni culturali affinché la popolazione meno integrata socialmente viva la cittadinanza e abbia accesso all’insieme dei diritti della stessa.
- Le autorità locali assumono l’impegno di – insieme alla partecipazione diretta e democratica della propria cittadinanza – promuovere politiche che combattano la crisi abitativa, la precarietà dei servizi urbani, la povertà che colpisce parti significative della popolazione e i fenomeni di esclusione sociale e di marginalizzazione che negano i diritti di cittadinanza.
Come è evidente, si tratta di questioni sideralmente lontane dalle generiche affermazioni di democrazia diretta del programma elettorale dei 5 stelle, perché le proposte di Porto Alegre partono-bene ribadirlo ancora una volta- da un ruolo attivo dei cittadini, da una loro consapevolezza politica e sociale elevata. E la via di uscita dal ruolo di minoranza del Sindaco – la storia si ripete!- non fu un rumoroso strepitio, un lamento costante, una minaccia perenne ai consiglieri comunali, tipica di Ciampi e dei suoi suggeritori, ma l’avvio di procedure democratiche su temi alti.
Naturalmente la democrazia partecipativa non è detto che si generi solo dal conflitto, ma, com’è più spesso accaduto in Europa e anche in Italia, anche dalle forme nuove che bisogna costruire per la realizzazione di progetti concreti, l’uso di fondi europei, la riqualificazione di un quartiere, la costruzione di nuove infrastrutture. Il fine di questa scelta, in cui, fase per fase, si confrontano cittadini e istituzioni, è quello di arrivare a un “governo largo” della città, di arricchire il ruolo della rappresentanza, che si misura con questioni e procedure diverse, di migliorare la macchina amministrativa, di pretendere la riforma di molti apparati, e di far mutare nel profondo il ruolo dei cittadini. E’ chiaro che per arrivare a questo non serve la spontaneità, ma procedure riconosciute ed efficaci, che si possono anche sostanziare di una deliberazione dell’esecutivo, a patto che si limiti a fissare le linee guida e lasci agli attori in gioco la messa a punto passaggio per passaggio.
Più profondo e radicale appare il passaggio di non intervenire solo sull’attuazione dei progetti, ma di partire dalla cosiddetta “opzione zero”, ovvero sulla discussione della necessità stessa dell’intervento, del suo essere o meno utile in relazione alle altre esigenze sociali. Va qui ricordato che proprio da questo punto nacque a Genova, da parte del movimento dei 5 stelle, l’atteggiamento di opposizione radicale sulla cosiddetta Gronda di Ponente. Il crollo del ponte ha costretto poi rapidamente a rivedere la precedente posizione, caratterizzata, come si è visto, dell’astrattezza delle motivazioni, coniugata alla stessa declamatoria del male assoluto che in ogni angolo si annida.
Abbiamo volutamente tralasciato la questione del bilancio partecipato: in sintesi una parte del bilancio viene lasciata alla gestione diretta dei cittadini, naturalmente dentro la strada di una procedura correttamente definita. Ciò richiede, ancora di più, un cambiamento profondo da parte di chi amministra e la capacità di accettare la sfida da parte dei cittadini. Nel nostro caso due sono gli ostacoli sul terreno: da un lato lo stato comatoso dei bilanci comunali, con tutti i problemi penali e civili che a questa brutta storia si accompagnano, dall’altro l’assenza, in città, di un tessuto forte di movimenti dal basso, di associazioni autonome, di cittadini pronti. E qui ritorna ancora una volta l’esperienza del comitato “La voce di Valle” che potrebbe e dovrebbe diventare una traccia per l’agire di altre associazioni e di altri gruppi che si vanno costruendo nei quartieri. E’ ovvio che il bilancio partecipato, proclamato dai 5 stelle nei loro programmi elettorali, se concretamente e costantemente attuato sarebbe, quello sì, uno strumento per combattere la corruzione, per fare uscire il governo dell’Ente Comune dalle spire di un clientelismo feroce che lo ha caratterizzato per anni e di cui essi ogni giorno si lamentano- facendone alla fine solo scudo della loro impotenza-. Ma si tratta di questioni serie, dei quali Ciampi e i suoi non hanno nessuna consapevolezza.
Dunque l’orizzonte del lamento, dell’attacco personale, della declamazione contro i farabutti del passato-tutti ladri, tutti corrotti, senza alcuna distinzione-, non è solo una premessa, sia pure stucchevole, per uscire dalle difficoltà del presente, ma insieme il fine massimo del loro agire, il loro primo e unico atto politico, il coperchio chiassoso per coprire il vuoto assoluto della loro elaborazione politica e civile.
LE FOTO SONO DI UGO SANTINELLI.
Alcune indicazioni di lavoro.
Approfondimenti sul tema della democrazia deliberativa
Alcuni riferimenti bibliografici:
Allegretti G. 2003, L’insegnamento di Porto Alegre. Autoprogettualità come
paradigma urbano, Alinea, Firenze.
Allegretti G., Frascaroli M.E. (a cura di) 2006, Percorsi condivisi. Contributi
per un atlante di pratiche partecipative in Italia, Alinea, Firenze.
Allegretti U. 2006a, Basi giuridiche della democrazia partecipativa in Italia:
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Allegretti U. 2006b, Democrazia partecipativa e controllo dell’amministrazione,
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Bobbio L. (a cura di) 2004, A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese,
associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli
Zoja L. 2009, La morte del prossimo, Einaudi, Torino.