L’amicizia con il fiume

di FRANCO FESTA.

I fiumi si rassomigliano. Oppure è solo il legame che costruiamo con loro a somigliarsi. A lungo li abbiamo amati e rispettati, poi, d’un tratto, violentati, dimenticati, cancellati dalla memoria; infine riscoperti, ritrovati. Come abitante della città ho costruito un rapporto del genere, di amore e di conflitto, con il piccolo fiume urbano, il Fenestrelle e con il suo principale affluente, il Rio Cupo, chiamato anche San Francesco. Ma qualcosa di molto simile, ricomponendo racconti di parenti, parole di amici dell’Alta Irpinia, viaggi personali, è accaduto con un altro fiume molto amato nelle nostre zone, l’Ofanto. Tra la città e la sua provincia si sono consumati, nel tempo, modi accigliati e diffidenti di confrontarsi, punti di vista diversi, respiri diversi; ma i fiumi hanno costruito un tessuto comune, hanno rispecchiato una stessa relazione tra luoghi e persone. Dal mito adolescenziale del bagno nelle loro acque, al veleno che li uccide lentamente, il viaggio è stato simile.

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Dopo l’adolescenza, il mio sguardo sul fiume cittadino si era perduto, quasi che esso fosse un luogo leggendario, magico, non una parte attiva del panorama cittadino. Ogni tanto il Fenestrelle riappariva, in una parte di campagna non ancora violata, in un angolo di periferia, con il suo stato non più limpido, ma torbido, limaccioso. In ogni caso sul fiume era caduto l’oblio, il complice più cupo della violenza. E, nella città, la violenza ha assunto caratteri macroscopici. L’affluente principale del fiume, il Rio Cupo, è stato deviato, sotterrato, tombato, ridotto a fogna urbana, specie nella zona centrale.

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Ma la gradazione della brutalità è difficile da stabilire, osservando il ruolo che le industrie del cratere hanno assegnato all’ Ofanto, sversatoio di sostanze chimiche e di veleni che ne hanno distrutto a lungo la flora e la fauna. Eppure era lo stesso fiume che all’improvviso appariva al viaggiatore occasionale a una svolta dell’Ofantina, e meravigliava per la sua bellezza, o per la sua potenza nel tratto della diga; anche se, a sentire parlare gli abitanti dei luoghi, pure quel fiume era malato, bistrattato, trattato come un immondezzaio, ingravidato di morte. Ma i fiumi hanno resistito: il Rio Cupo, dentro la tomba di cemento con cui attraversa il centro urbano per sfociare poi nel Fenestrelle, fino a quel punto salvo, inquinandolo irrimediabilmente all’altezza del parco Manganelli; e l’Ofanto lungo i chilometri che lo portano fino all’Adriatico. Maleodoranti, infetti, intorbiditi, desertificati, senz’aria, hanno resistito. Fino a che nuove legislazioni e nuovi occhi hanno cominciato a ritrovarli, a coglierne il valore, a esercitare cura e attenzione.

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In città, il piano Gregotti-Cagnardi, ha recepito la norma, voluta da Di Nunno, di salvaguardia degli ambiti collinari e fluviali, e nella progettazione del parco del Fenestrelle è partito proprio dalla nuova frontiera delle fasce di rispetto intorno al fiume; e più volte, anche per intervento della Magistratura, questo rispetto è stato il nuovo strumento per frenare speculazioni, tese ancora a massacrare il territorio, ancora a distruggere il corso d’acqua.

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Intorno all’Ofanto, analogamente, diversi soggetti, comuni, enti territoriali, enti di sviluppo, cittadini attenti, hanno ragionato e ragionano su un possibile patto che tenda a tutelare il fiume, a salvaguardarlo: di più, a coglierlo come valore nuovo, intorno a cui costruire un nuovo progresso, una nuova qualità della vita. Sono passi ancora incerti, percorsi che faticano ad affermarsi. I fiumi sono resistenti, e insieme fragili. Spesso, con la loro bellezza e con la loro fragilità, diventano luoghi in cui la tristezza e la desolazione degli uomini si rispecchia, e mai termine fu più appropriato. I frequenti suicidi nella città, dal ponte delle Ferriere, tanti tragici suicidi giù dai ponti verso l’ Ofanto, ci hanno ogni volta riportato, senza retorica, al nodo dell’esistere, al legame profondo, inestricabile che ci unisce alle nostre acque, al patto misterioso tra uomini e natura. Per ridare a questo patto un valore alto e nobile, però, non ci possono essere scorciatoie. L’intervento legislativo, l’impegno dei cittadini e delle istituzioni, non può conoscere mezze misure, inaccettabili mediazioni, infingimenti. In città il parco per il Fenestrelle è la vera grande frontiera.

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E’ nella modernità la salvezza del capoluogo e dell’Irpinia, non nel mito del passato che ogni tanto aleggia nel deserto dell’Alta Irpinia: se modernità significa però nuovo sguardo sui territori, sui boschi, sui fiumi, della nostra Irpinia, come arma per affrontare il futuro, come opportunità per una misura diversa del vivere.

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Tornare a sentire il rumore dei nostri fiumi, godere della loro acqua trasparente, odorare i profumi della vegetazione, vivere intorno al fiume, non può essere un sogno magico, non può significare un ancestrale ritorno a un’età dell’oro che non c’è mai stata, perché era invece un’età di miseria, di privazioni, di povertà. Noi possiamo, dobbiamo riuscire a ricostruire un equilibrio, una sintonia con i nostri fiumi. Possiamo farlo in città, possiamo farlo con l’Ofanto. Certo, tanto del danno non è più rimarginabile, certo una ecatombe ecologica è già stata consumata. Ma si può ripartire dall’esistente, si può ricostruire intorno al fiume un percorso di civiltà. E qui la nostra salvezza, qui la nostra via d’uscita. Nell’amicizia con il fiume è il nostro riparo.

 

 

Le foto sono di Ugo Santinelli. QUI L’ALBUM COMPLETO DELLE FOTO

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