Preghiera in Irpinia

di EMILIA CIRILLO.

E’ facile essere affascinati da un panorama, quando c’è il sole. I colori rinverdiscono, le ombre sono più corte, la luce delinea contorni di montagne, sagome di paesi. Mi capita sempre quando percorro l’Ofantina bis e arrivo a Cassano: la montagna del Cervialto mi incanta, materna, con la sua sagoma maestosa, appena più sotto appare Bagnoli arroccata e Montella più in basso , Nusco appartata, Cassano la figlia minore. Ogni volta, quasi senza accorgermene pronuncio “Chemeraviglia”, una sola parola. Vorrei abbracciarla tutta, la montagna, i paesi, la valle, il fiume, le sorgenti, per sentirmi, nel mio corpo, parte di loro.

Oggi pioveva. Percorrevamo l’Ofantina per arrivare a Guardia del Lombardi per dare un ultimo saluto ad un amico che molto amava questa terra d’Irpinia, da cui non si era mai staccato e per la quale prodigava tutte le sue energie politiche e mentali. E anche sotto quel cielo scuro di nubi, scuro di cuore, ho pronunciato le stesse parole di stupore, “Chemeraviglia”, guardando le montagne di fronte a me.

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E salendo più su, tra le curve del bosco, dove una mano esperta aveva potato i faggi e raccolto i rami in fascine, per una strada provinciale piena di fossi, ho sentito, malgrado tutto, questi luoghi “per come sono”, vivi seppur nel loro abbandono. “Siamo tornati indietro, agli anni cinquanta perché abbiamo perso anche la speranza del cambiamento. Le occasioni di sviluppo sono andate sprecate.” ha ribattuto l’amica che guidava attenta, mentre io continuavo a tenere gli occhi fissi sulla rocca, sul filo di monti, sulla potenza del paesaggio che ci sorvegliava. E al mio dire sulla assoluta bellezza di questi luoghi, sulle potenzialità che avrebbero, lei mi ha risposto concreta, che non si mangia con il paesaggio e che niente è stato fatto per far restare i nostri figli in Irpinia. Non una ferrovia, non un’infrastruttura, non una Università, non un soloo progetto moderno, futuro. Solo parole, solo tavoli, convegni e nastri tagliati. Come non darle ragione.

A Guardia ci ha accolto una pioggia fredda, un paese silenzioso, tanta gente nella piccola sede del Municipio, dove c’era la Camera ardente di Giandonato Giordano. Quella sala, dai pavimenti a cementine, dove normalmente si delibera sul destino di un piccolo, splendido, spoglio paese d’Appennino del Sud, era per l’occasione piena di fiori e di pianto. Il vescovo di Sant’Angelo dei Lombardi ha benedetto la bara e ha aggiunto commosse parole di cordoglio per la famiglia. Ha poi invitato tutti a pregare. Io prego solo in casi estremi, quando la violenza del destino decide di travolgere la vita e cerco di arginare i frantumi della ragione. Ho girato lo sguardo dietro di me, mentre cominciava il parroco iniziava la lettura di un Salmo. Fuori la piazza di pietra bianca era battuta dal vento, le finestre delle case sprangate, non una persona per la strada. Ho girato lo sguardo e ho visto la gente tenersi per mano. Il mio bisogno di consolazione ha trovato agio in quella stanza, in quella occasione di lutto, e ho pregato, come se fossi una bambina che prega a sera con la sua famiglia, accanto al camino, un Dio di cui non conosce ancora tutta l’onnipotenza e di cui intuisce l’infinita bontà e saggezza.

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E’ stata quella preghiera corale, recitata dai presenti in commossa partecipazione, non solo una preghiera per Giandonato, ma anche per l’Irpinia tutta, perché per essa, per questa terra, sia fatta una nuova volontà.

Al ritorno pioveva fortissimo. Le montagne hanno vegliato il nostro viaggio. La bellezza aiuta, poco, ma aiuta sempre ho detto all’amica. Lei non ha ribattuto e ha continuato a scansare buche dalla strada.

 

 

 

 

Le foto sono di Ugo Santinelli

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