Le pale selvagge

di MICHELE SOLAZZO.

 Uno degli esempi più utilizzati per spiegare cosa sia una città, è quello di paragonarla ad un organismo vivente, bisognoso di energia o di materia da trasformare in energia. Una città divora energia quando i suoi abitanti camminano, oppure quando i motori delle auto, degli autobus, dei camions percorrono le strade. Ed energia consumano lampioni, o lampadine e led che illuminano le abitazioni, gli uffici; persino il computer che memorizza questi bit consuma energia.

 L’energia in quanto tale è un tema che non ricorre spesso nei dibattiti e nelle dinamiche politiche attorno al tema della città; per lo più le buone pratiche accentuano al massimo un consumo contenuto e virtuoso dell’energia elettrica. L’attenzione è indirizzata molto di più ad altre applicazioni del tema energetico: al traffico veicolare, all’inquinamento come scoria dell’energia consumata.

 Con buona pace del tema dell’ambiente e della sostenibilità, ridotte a quelle salse buone per condire insipide patatine fritte. Eppure il suono delle parole ambiente e sostenibilità ricorre con insistenza dagli ultimi decenni nel lessico politico.

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Poca è l’energia elettrica che una città produce nell’area urbana occupata. Per lo più questa energia attraversa ampi territori, in varie forme, prima di giungere in città. Se ci soffermiamo sull’energia elettrica, immediata è l’immagine di tralicci e fili che sovrastano i paesaggi pre-urbani. L’esigenza ambientalista di lasciare le fonti fossili, a vantaggio di quelle rinnovabili, ha prodotto la conseguenza di immettere in quella rete di fili sospesa per aria, energia elettrica prodotta dal sole o dal vento. Come in una cattiva traduzione, una giusta posizione ambientalista si è trasformata in una linea politica attenta ad altro. Disattenta al territorio, talora occasione di intrecci illegali e di affari per le maggiori organizzazioni criminali.

 Nel breve ed incisivo contributo di Michele Solazzo, ambientalista da tempo attento alle dinamiche politiche dell’energia eolica in Alt’Irpinia, palese è la trasformazione dell’uso del territorio che sta avvenendo sulla dorsale appenninica, quindi anche in Irpinia. I terreni, per secoli adibiti ad agricoltura e pastorizia, ora servono – sono accaparrati, scriverebbe Solazzo – per infiggervi i tralicci delle pale eoliche, come pertinenze di queste. Accaparrati non da gente del luogo, non da aristocratici, ex emigrati del passato o piccoli proprietari, ma da società dell’altrove, che altrove decidono cosa farsene di pezzi sempre più consistenti di territori. Fino a trasformare il paesaggio con la fitta insistenza dei tralicci e delle braccia. L’energia prodotta da quelle pale, una volta immessa nella rete, diventa anonimo lucro, spezza il legame tra luogo di produzione e luogo di consumo, perde il senso politico di una trasformazione che avvantaggi il territorio d’origine.

L’eterogenesi dei fini, la caduta dai nobili principi ambientali ai prosaici e perversi contorni degli affari terreni, è offerta da una testimonianza diretta, quanto non prevista, contenuta nel libro di Sergio Luzzatto, Max Fox o le relazioni pericolose, Einaudi, 2019. Nel libro è riportata la storia di Marino Massimo De Caro che sarà ricordato per sempre come il saccheggiatore dell’antica biblioteca napoletana dei Girolamini.

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 De Caro, prima di meritare questo titolo, ha collegato per anni, nel primo decennio di questo secolo, finanza russa e alti referenti politici di sinistra e destra, anche meridionali, al fine di trasformare i danari investiti in pale eoliche e produzione di energia “pulita”. Ad un finanziere russo non si può chiedere amore per un territorio non ancora suo, la sua attenzione è puntata alla persistenza del bel tempo, al sole forte che non deve solo far maturare pomodori o grano. Nelle parole di De Caro, i referenti politici italiani, di rango governativo, dimostrano di andare subito al sodo dei soldi; parole come salvaguardia del territorio e cura per gli interessi delle popolazioni locali, suonano come argomenti da comizio in piazza (o sempre più nel chiuso di sorvegliati convegni), non come limiti alla propria azione. Con i progetti facilitati negli anni dalla cecità della politica governativa, dalla mancanza di regole concrete, fatta salva la burocratica osservanza italica delle procedure. Eppure la tutela del paesaggio costituisce vincolo costituzionale, nella formulazione dell’art. 9, innanzitutto per chi si ritrova al governo dell’Italia.

 De Caro non era l’unico interprete di questa tragica commedia. Uscito di scena, altri sono subentrati a recitare secondo una trama consolidata.  (UGO SANTINELLLI)

 

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Circa diecimila pale eoliche sono state installate in Italia meridionale dal 2000 in poi, in assenza di un piano energetico nazionale, pertanto può essere considerato “Eolico selvaggio”.

I comitati hanno, per questa ragione, intrapreso una serie di azioni di opposizione e resistenza all’invasione e al sistema di speculazione.

Per la realizzazione di questi impianti ed opere connesse (accumulatori, cavidotti, elettrodotti, strade), il legislatore, attraverso il Decreto 387/2003, autorizza di fatto un esproprio dei terreni con motivazioni “indifferibili” ed “urgenti di pubblica utilità” da privati a privati, derogando la stessa Costituzione.

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Lo Sblocca Italia, abolendo il ruolo della democrazia di prossimità, concentra le procedure autorizzative degli impianti al MISE (Ministero Sviluppo Economico), lasciando ai sindaci solo le compensazioni da far valere esclusivamente nelle Conferenze di Servizio.

Nello Sblocca Italia è previsto:

1)l’abolizione dell’obbligo del pagamento dell’Ici ai cosiddetti “imbullonati”, che precedentemente pagavano come “Opifici”.

2) Lo scorporamento dalla fiscalità generale di una cifra pari a 150.000.000 annui da destinare ai comuni per il mancato introito dell’Ici.

3) Una sostituzione del C.P.6 con le “Aste incentivanti”, destinando una cifra di circa 5.000.000.000 annui prelevati dalle bollette dei contribuenti; tale decisione è demandata alla Conferenza di Servizio.

Nel 2017 il Governo in carica ha varato la Sen (Servizio Elettrico Nazionale), rinunciando di fatto alla stesura di un vero piano energetico nazionale, assecondando le richieste dell’Anev (Associazione Nazionale Energia del Vento), ha autorizzato il raddoppio degli impianti eolici esistenti.

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Nel 2018 l’Esecutivo, confermando tutto ciò che è stato fatto, ha chiesto l’applicazione del VAS (Valutazione Ambientale Strategica) e si è riservato di determinare i fondi per le Aste Incentivanti.

Per resistere a queste speculazioni ai danni del paesaggio e per assicurare una prospettiva dignitosa è necessaria una connessione tra i comitati e i movimenti attivi sul territorio (No Triv, No Tap, Comitato per l’Acqua Pubblica, ed altri).

Considerando la situazione attuale i comitati propongono:

  • il ripristino del Piano delle Aree;
  • la diversificazione delle fonti energetiche;
  • il blocco dell’accaparramento e del consumo di suolo;
  • il controllo di tutti gli appalti attraverso l’Anac;
  • la redazione del Piano Energetico Nazionale;
  • la stesura del piano di tutela della salubrità di tali impianti;
  • la pubblicizzazione dell’energia, come bene comune in virtù degli articoli 41, 42 e 43 della Costituzione;
  • l’utilizzo dei fondi delle fideiussioni per bonifica e ripristino dei danni causati dall’Eolico Selvaggio, soprattutto nella zona dell’Appennino meridionale esposto al rischio sismico ed idrogeologico.
  • L’autoproduzione e l’autoconsumo;
  • La riconversione dei consumi energetici riguardanti il consumo civile, industriale e autotrazione;

I comitati ritengono che la transizione energetica e la riconversione ecologica, per ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera, possano creare nuove forme di lavoro che garantiscano un nuovo modello “Green”, non dannoso per il pianeta e le persone.

 

 

Le foto sono di Ugo Santinelli

 

 

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