di UGO SANTINELLI.
La catena da bicicletta, a chiudere i battenti del cancello, dice molto. In Francia indica che quel luogo è chiuso, proprietà di qualcuno, ma che non lo si abita, almeno di continuo. Il decoro imporrebbe di rimpiazzare la serratura, perché i ferri combacino bene, non facciano rumore. Nessuno vi abita più, dalla cassetta delle lettere qualcuno ha strappato l’ultimo indirizzo, provvisorio, scritto su un post-it da ufficio. Restano due sbaffi della carta strappata. La polvere si accumula negli angoli della breve scala, prima del portoncino d’ingresso. Il luogo è tranquillo, in fondo a questo square del XIV arrondissement. Sembra un piccolo castello, con la torretta d’angolo a contenere la scala interna che disimpegna i vari ambienti, a destra e sinistra, fino alla mansardina vetrata, con le pareti occupate dalle semplici scansie piene di libri. Oggi alcuni di quei libri, ed altri ne sono stati aggiunti, sono all’hotel Galliffet, in pieno centro (1).
Lo square è una parola che gli inglesi hanno lasciato ai francesi ed a Parigi indica le stradine chiuse, come un cortile circondato da abitazioni, che si aprono sulle vie di maggior traffico; immediata è la sensazione dello scarto, del passaggio dal traffico, dalle correnti frenetiche della città, ai tempi blandi di un villaggio. Aiuta molto la tipologia delle case, come villette unifamiliari, addossate tra loro, con l’uscio direttamente sulla strada. L’uomo che vi abitava, preferiva pensarla come una casa di campagna, isolata, aiutato nell’illusione da un arbusto davanti e da una cortina di acacie selvagge sul retro, a mascherare una piccola ferrovia. Isolata, come un’isola, a somiglianza di una scrivania e dello scrivere che possono vivere dovunque. L’uomo trasferisce sulla casa quel carattere di isola-isolata che è il suo semplice modo sentirsi; si vede come un eremita che riflette e lavora da solo, staccato dalla città complicata (2).
Chi vi ha abitato un tempo, ha per anni, metodicamente portato giù dalla cucina il secchio delle immondizie, le ha riversate nella poubelle agréée, nel chiuso del box garage vuoto di auto; ha poi aperto il cancello e ha spostata fuori il contenitore, in attesa del camion degli spazzini, les eboueurs. Quel gesto banale ha innescato alcune considerazioni che il padrone di casa ha riversato in alcune pagine; quel gesto in apparenza banale, l’atto del varcare il limite tra lo spazio privato e quello pubblico, è il nostro personale patto con i concittadini e la città dove ci troviamo a vivere. Anche se poi il vivere, il tempo, gli accadimenti, fanno fluttuare il limite tra spazio pubblico e spazio privato. In piccolo, l’affidare i residui della vita di una casa ai servizi pubblici, dice molto del quotidiano e sistematico funzionamento di una città intera, delle composizioni sociali, delle casistiche migratorie di quel momento: italiani padroncini, spagnoli operai qualificati, jugoslavi muratori, portoghesi manodopera generica, africani e nordafricani eboueurs, letteralmente spazza fango. Né basta pagare la taxe d’enlévement des ordures ménagères, dicitura riportata per intero da Calvino, forse ammaliato dal suono burocratico delle parole, per contrarre una sorta di polizza d’assicurazione sul buon funzionamento perpetuo della procedura; una nevicata, uno sciopero improvviso, possono rivelare la fragilità del vivere in città (3).
Al 14 dello square de Chatillon, ha abitato per tredici anni, dal 1967 al 1980, Italo Calvino, con moglie e figlia; in una piccola babele di lingue, lui italiano, la moglie spagnola di Buenos Aires, la piccola ad imparare il francese nella scuola comunale e la cameriera portoghese. In un piccolo quartiere dignitoso di una zona della Parigi periferica, dove molte famiglie immigrate “posavano le valige”. La presenza ancora oggi dei retouches dona il senso di una continuità di vita, di un ancoraggio persistente di affetti ed abitudini.
Per Calvino la casa è facile da raggiungere, vicina all’aeroporto di Orly, appena un’ora di volo da Torino. E poi, dopo lo square basta girare a destra, raggiungere l’Avenue Jean Moulin, camminare fino a place Basch, scendere le scale del metrò Alésia, prendere la linea 4 in direzione Porte de Clignancourt, sgranare sette stazioni, per risalire finalmente in superficie a Saint Germain des prés, dove l’edicola vende giornali italiani.
In fondo, come scriverà Calvino, la città è, grazie ai viaggi sotterranei in metrò, il susseguirsi di parentesi, tra un luogo ed un altro, tra un’immagine ed un ricordo. Parigi è davanti ai suoi occhi come un’enciclopedia, una gigantesca classificazione, un enorme catalogo di collezioni disparate. In continuità tra la frequentazione dell’Ouvroir de Litterature Potentielle, assieme a Queneau e Perec, ed il negozio di formaggi, dove centinaia di prodotti hanno infissi i cartellini degni di un entomologo. Calvino scivola invisibile tra le storie degli anonimi che incrocia per strada o nei vagoni della metropolitana. Lui stesso si immagina invisibile, mentre gli occhi scivolano su passeggeri o pedoni.
Intanto realtà e tempo scorrono e modificano il paesaggio. Calvino sentiva ancora fischiare il treno della petite ceinture, poteva continuare l’esercizio dell’immaginare. Quel treno riforniva e collegava le presenze industriali presenti negli arrondissements a sud di Parigi, fino alle rive della Senna, fino alla Citroen del quai de Javel. Due rotaie, oggi arrugginite, che avviluppavano le storie di vietnamiti e di cinesi del XIII venuti a rimpiazzare gli operai francesi, partiti per le trincee della prima guerra mondiale; fino ai marocchini e agli italiani che stringevano, in tempi più recenti, i bulloni alle catene dell’ingegnere Citroen. Come fu facile, durante il maggio radioso, l’incontro tra operai e studenti, congiungere con poche stazioni di metrò due mondi separati.
Calvino sentiva ma non vedeva il treno che scorreva nella profonda trincea, declamava i versi di Jules Laforgue “Je n’aurai jamais d’aventures;/ qu’il est petit, dans la Nature/ le chemin d’fer Paris-Ceinture.” (4)
Dopo la chiusura del traffico, la natura ha ricolonizzato scarpate e massicciata. I parigini non sapevano cosa farsene della piccola ferrovia, cancellate le fabbriche grandi e piccole dal panorama urbano, salvo le mura ed i tetti riconvertiti in terziario avanzato, annessi delle facoltà universitarie, residenze per bobos, parchi pubblici dedicati a Citroen e Brassens. Consiglieri e Sindaci avevano pensato di riutilizzare le rotaie come metropolitana di superficie, per intersecare le linee del metrò e della rete ferroviaria regionale che, come raggi, convergono verso il cuore del centro e le stazioni principali. La linea unica limitava numero e velocità dei convogli nei due sensi e, negli anni novanta del secolo scorso, grazie anche alle pressioni dell’ambientalismo, finalmente si giunse alla decisione di togliere spazio alle auto che soffocavano Parigi intorno.
All’uscita dello square, verso destra, alla fine dell’avenue Jean Moulin, Calvino sarebbe incappato nel rumore e nei gas di scarico del traffico della ceinture des boulevards. Oggi metà dello spazio delle carreggiate, al centro, è dedicata al tram 3 che ha cambiato abitudini, compresi i valori ambientali ed immobiliari lungo il percorso.
E il trenino, le rotaie della petite ceinture? La Natura è riclassificata (Calvino!) in biodiversità da tutelare, ammorbidire, ripulire. In alcuni tratti, il dislivello tra le rotaie e la massicciata è stato riempito da altra ghiaia, alcune stazioncine dotate di accessi ed ascensori per handicappati, in modo da permettere anche lunghe passeggiate, senza dover incrociare semafori ed automobilisti. Si può persino correre. Un modo nuovo per possedere la città.
Le foto sono di Ugo Santinelli
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(1). L’hotel Galliffet al 50-51, rue de Varenne, è la sede dell’ambasciata d’Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi.
(2). Nel 1974 Italo Calvino fu intervistato da Valerio Riva, per la Televisione della Svizzera Italiana. Ne fu tratto il documentario “Italo Calvino, un uomo invisibile”, regista Nereo Rapetti ed è disponibile sul canale You Tube. Le risposte di Calvino furono da lui rielaborate e stampate in una plaquette intitolata “Eremita a Parigi”, edita a Lugano nel dicembre dello stesso anno. Cfr. Italo Calvino, Romanzi e racconti, III pp. 102-110 e 1212-1213.
(3). Cominciata nel 1974 e terminata nel 1976, “La poubelle agréée”, comparve sulla rivista Paragone nel febbraio 1977. Cfr. Italo Calvino, idem, pp. 59-79 e 1209.
(4). Fino al 1934 il trenino ha trasportato fino a novantamila passeggeri all’anno; poi solo merci. In attività fino al 1990.