di GENEROSO PICONE.
IN PREPARAZIONE DEL CONVEGNO ORGANIZZATO DALL’ASSOCIAZIONE “CONTROVENTO” DEL 18 OTTOBRE 2019: IL ’68 IN IRPINIA E IL CASO SAN CIRO.
Le varie puntate sono state pubblicate su “Il Mattino”, edizione di Avellino, il 29 maggio, il 5, il 13 e il 19 giugno 2018
A voler cercare nell’album dei ricordi del ’68 avellinese una fotografia che ne possa diventare l’icona identificativa, un po’ come il celebre scatto di Jean-Pierre Rey che ritraeva il 13 maggio di quell’anno l’indignazione imbronciata nello sguardo di Caroline de Berdern mentre a cavalcioni sul compagno urlante sventola da Marianna rivoluzionaria la bandiera del Fronte Nazionale per la Liberazione del Vietnam con la Sorbona occupata sullo sfondo, ecco, l’immagine simbolo non potrebbe non essere quella di Mabel Bocchi mentre esce trafelata dai magazzini Standa dalla parte di Corso Vittorio Emanuele. Con quel nome che sembrava essere uscito dal primo verso della “Michelle” dei Beatles, Mabel Liliana Bocchi, 15 anni il 26 proprio di quel maggio, capelli castani, volto da ragazzina che ricordava l’ovale di Catherine Spaak ne “La voglia matta” di Luciano Salce, un metro e 86 di altezza che aprivano la folla davanti alle vetrine e portavano aria fresca, freschissima di giovinezza, sui marciapiedi della città che già allora si crogiolava nel mito bacchettone del decoro borghese, alla fine sempre più piccolo e sempre meno borghese.
Mabel Bocchi era di Parma, trasferita ad Avellino per il lavoro del padre, e avviata al basket dalle pressioni della compagna di banco, Cesarina Cardoni. Lei giocava nella squadra della Partenio di Costantino Pepe presidente e Gerardo Maglio allenatore. Tempo qualche mese per prendere confidenza con l’impegno, grazie alla pivot quindicenne, fu conquistata la serie A. Bocchi, la sua migliore amica Silvana Bonaventura, con cui avrebbe mantenuto il rapporto lungo i decenni successivi, Cardoni, Luciana Telaro, Teresa La Dogana, Micla Pennetta, che sarebbe diventata docente universitaria di Geologia all’Università “Federico II” di Napoli, colsero un risultato storico. Poi Mabel Bocchi venne ceduta alla Geas di Sesto San Giovanni, da allora 8 scudetti, una Coppa campioni, 121 volte in Nazionale, un bronzo agli Europei e la consacrazione nella Hall of Fame italiana: la Partenio retrocedette subito in B, dopo un campionato di zero vittorie nella massima serie. Ma valse il sogno, preludio di successi a venire, e rimase la stagione di quella ragazzina alza e slanciata, il ritratto della gioventù che nel mondo stava provando a essere realista e quindi a volere l’impossibile.
In quell’immagine c’è il paradigma di “un cambio di prospettiva”, dice Ugo Santinelli, a quel tempo studente al liceo classico “Pascucci” di Pietradefusi , l’anno dopo si sarebbe iscritto per laurearsi alla Facoltà di Sociologia a Trento, una delle cattedrali del ’68 italiano. “Cambio di prospettiva nel senso di conquistarsi uno spazio e fare di Avellino il posto dove potesse accadere altro dalle domeniche in bianco e nero della piccola borghesia cittadina, dalle quattro famiglie che si proclamavano importanti, covavano le loro cucce sudate, chiudevano gli occhi sul mondo e ringhiavano ai tentativi di spartizione democratica degli ossi. Lì, a Pietradefusi, i miei nuovi compagni e compagne erano figli di gruppi diversi: gli avellinesi scapocchioni che avrebbero tentato di andare avanti con l’aiutino salvifico di fine anno, i figli di dottori medici avvocati farmacisti dei vari paesi, destinati a perpetuare posti e ambizioni e i figli degli emigrati , quelli che avevano lasciato la loro terra”. Sembra un fotogramma de “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio, la famiglia e il suo modello che esplodono, nel silenzio buio di certi rapporti tra padri e figli l’incomunicabilità che si evolve in scontro: due Avellino che si delineano in una contrapposizione che da latente diviene netta e gradiva di clamorose contestazioni.
Insomma, da una parte l’Avellino di Mabel Bocchi e dall’altra quella che Lucia Annunziata, studentessa anche lei quindicenne al liceo “Colletta” dove avrebbe frequentato due anni, allora lungo il corso Vittorio Emanuele, ha ritratto in pagine magari un tantino caricate da un’accentuazione da stereotipo narrativo ma comunque assai prossime all’autenticità. Ne ha scritto in “Bassa intensità”, il suo libro del 1990 dedicato al suo anno in Salvador, il 1983, dove a un certo punto da New York spunta il ricordo dell’Avellino del 1964: donne in nero scaricate dagli autobus dalla provincia, donne con cappottino e borsetta che arrivano dalla periferia, il Corso e la voce tonante del padre ferroviere Raffaele dalle scalinate vanvitelliane del “Colletta” a rivendicare “E’ perché sono un comunista”. Lei affrettava i suoi passi per approdare “in una zona della città in cui loro non avevano comunque intenzione o ragione di arrivare, e guadagnano furente per quella promiscuità il giardino del mio liceo”.
Forse l’unico luogo amico in una città senza colori, dove la formalizzazione del nuovo soggetto sociale – il giovane – faticava a compiersi. “L’anno dei giovani si sarebbe dovuto spostare nel tempo, slittare per una sorta di scarsa aderenza con la realtà”, sottolinea Giuseppe Moricola, docente di Storia economica all’Università “l’Orientale” di Napoli che da assessore provinciale alla Cultura nel 1998 organizzò la mostra “’68 minore” al Carcere Borbonico, due giorni di riflessioni, foto, manifesti e documenti a scandire gli anni fino al 1973. “Eravamo in un mondo così marginale che durante la gita scolastica a Paestum del 1968 – rammenta Santinelli – rimanemmo tutti muti a contemplare il passaggio tra le rovine dei templi gli studenti di un liceo romano nostri coetanei ma già così avanti, sicuri e belli nei primi jeans, nei maglioncini attillati e sgargianti, uno perfino con una tromba in mano a suonare. Il massimo dell’eccentrico”.
Il problema era proprio quello di cambiare d’abito e la musica si prestò come il veicolo potente di una mutazione individuale e collettiva. Michele Acampora aveva 17 anni ed era uno studente al liceo “Colletta”, già appassionato di musica. Già insegnante di Lettere, oggi è il direttore artistico di “Camarillo brillo”, dopo essere stato con “Ananas & bananas” il fondamentale divulgatore di rock e pop ad Avellino e provincia. “Le nuove capigliature, i pantaloni a zampa di elefante, le spille sulla giacche, i colori sempre più sgargianti: i giovani si stavano trasformando seguendo le mode e le tendenze dei coetanei del resto del mondo. – nota – Fiorivano i gruppi musicali in piccoli locali, club privati, cantine, sale di ristoranti e sedi di associazioni sportive che andavano sostituendosi ai salotti buoni delle case private come luoghi adibiti al ballo e all’incontro tra i sessi”. A esibirsi erano i Blousons Noirs e poi i Rubins con alla chitarra e alla voce il diciottenne Antonio Manganelli, anch’egli liceale al “Colletta” e futuro capo della Polizia, prematuramente scomparso. Quindi i Giaguari, i Madras con il leggendario organo Farfisa abilmente truccato da Hammond. “Lo ideò il tastierista Angelo Ardovino, che sarebbe diventato un importante manager di una multinazionale”, ricorda Acampora.
A suo modo, un gesto rivoluzionario. Ma non al pari di quello che sarebbe stato compiuto durante il corteo del Primo maggio. La parola a Santinelli: “Non era il solito corteo processione, con i partiti officianti, le bandiere numerate per democratica rappresentanza. Quel giorno il semplice, caotico scendere dai marciapiedi, camminare al posto delle auto ci rendeva primi attori, protagonisti finalmente del nostro tempo”. Erano stato conquistato il pavet del Corso, qualcuno a Parigi urlava che sotto c’era la spiaggia.
(1-continua)
LA SCHEDA DELL’ANNO
Il 1968 si apre ad Avellino contandosi. A gennaio i quotidiani – le pagine provinciali de “Il Mattino” e del “Roma” – pubblicano i dati del rapporto della Camera di Commercio che indicano i segni di squilibrio territoriale che nella demografia espone una separazione sempre più netta tra il capoluogo e il resto dell’Irpinia. Qui si registrano 458.634 residenti, a fronte dei 464.800 del 1964 con un incremento nella città di 1200 in un anno, tanto da arrivare a 48.819 abitanti. L’incremento si traduce in un forte aumento dei vani costruiti, il 35 per cento ad Avellino e soltanto la metà nel resto del territorio. Sono 13 i miliardi di lire investiti nella realizzazione di opere pubbliche e 3195 le nuove immatricolazioni. I depositi bancari schizzano agli 85 miliardi – al primo luglio 1967 – dagli 81 del 1966, mentre nel 1965 erano 73 e nel 1964 si erano stabilizzati sui 67. C’è bisogno di una nuova e diversa pianificazione della città: il Consiglio superiore dei Lavori pubblici boccia il programma della 167 e si avvia la procedura per il Piano regolatore generale, affidato dalla giunta comunale guidata dal sindaco Angelo Scalpati a Marcello Petrignani. Il 1968, anno bisestile, sarà l’anno del Prg.
Intanto, le emergenze richiamano intervento interventi urgenti, immediati rispetti ai tempi lunghi e complessi che porteranno al nuovo strumento urbanistico: dopo 20 di annunci e promesse Pianodardine aspetta ancora la rete fognaria e suscita subito polemiche la previsione di un Centro direzionale nell’area della variante Sud. L’Ospedale di Viale Italia è ancora da completare, entro giugno potrebbe essere percorribile il racconto autostradale da Avellino a Salerno e sulla collina dei Liguorini sorgerà un complesso realizzato dall’Istituto nazione case ai maestri, qualche centinaio di metri più avanti il Comitato di quartiere di San Tommaso – ormai con cinquemila residenti – rivendica la sua scuola. Ad Avellino occorre pure sistemare in una struttura meno precaria il Carcere e serve una palestra in grado di ospitare le partite della Scandone che primeggia nella serie C di basket e magari i primi tornei internazionali come quello femminile che vedrà partecipare le squadre dell’Urss, dello Spartak Praga, della Recoaro Vicenza, e della polacca Lodski. La Partenio in B fa esordire la quindicenne parmense Mabel Bocchi. L’antico stadio di calcio in Piazza d’Armi – dove l’Avellino disputa tra alterne fortune la C – lascerà il posto all’impianto di Contrada Zoccolari.
All’amministrazione provinciale tiene banco il confronto tra Dc e Psu per la formazione di un esecutivo di centrosinistra, che non andrà in porto lasciando spazio all’intesa tra democristiani e Pli. Antonio Battista, il mago di Arcella, celebre per aver elaborato i talismani della fortuna per Gina Lollobrigida e Mina, annuncia il suo impegno in politica, una selezione degli studenti delle scuole medie “Alighieri” e “Cocchia” in un affollatissimo Cinema “Giordano” partecipano alle eliminatorie del programma televisivo di Febo Conti “Chissà chi lo sa”, la cui sigla di apertura è “Azzurro” di Paolo Conte cantata da Adriano Celentano. I ragazzi non arriveranno alle finali. Si apre il dibattito per vedere ad Avellino alcune sezioni dell’Università di Napoli.
Il 28 marzo il Giro d’Italia taglia il traguardo lungo corso Vittorio Emanuele.