Salvini e le nocciole made in Irpinia

DI EMILIA BERSABEA CIRILLO.

Era uso, ai miei tempi,  imparare fin dalle scuole elementari, che il nome Avellino  derivasse da “ nuces avellanae” e che Plinio  chiamasse le nocciole con il nome di abellinae e abellanae. Per cui, nella mia mente di bambina, la città in cui vivevo aveva la forma e il sapore di una nocciola.

Più tardi ho studiato che anche Virgilio e perfino Palladio mettevano in correlazione il nome della pianta di nocciolo con la denominazione di Avella e Avellino;  questo per spiegare quanto la coltivazione e la commercializzazione della nocciola sia stata sempre fondamentale per la città e per l’Irpinia.

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La nocciola di Avellino è tonda, varietà detta Campionica. La sua coltivazione ha bisogno di un clima e di un’altitudine particolare, tipico dei nostri luoghi.    “Le piante di nocciolo, pur avendo una buona capacità di adattamento alle avverse condizioni climatiche, mostrano forti segnali di difficoltà ai cambiamenti estremi dell’ultimo decennio, tanto che la produzione in Irpinia è calata del 50. Ci vogliono varietà più resistenti, migliori impollinatori, e tecniche gestionali nuove” commenta Ciro Picariello, presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali. Anche se la qualità del prodotto resta alta.

“Le nocciole irpine sono le più buone del mondo” continuano ad affermare  dalla Ferrero di Alba. .La fabbrica piemontese insediò un suo stabilimento a Sant’Angelo dei Lombardi, in località Porrara dopo il sisma del 1980, intuendo  il valore commerciale del frutto e scegliendo di incentivarne la produzione. Di fatto la fabbrica della Ferrero, di tante installate con i contributi dell’art.32  della legge 219, è una delle poche rimaste nell’area del cratere, lavora ancora a pieno regime e ha attivato in Irpinia il “Progetto Nocciola Italia” che propone la concreta opportunità di riconversione e valorizzazione di ampie superfici del territorio, diventando così strumento di sviluppo economico, sociale e sostenibile.

Il nocciolo è considerato dunque una pianta autoctona del  nostro territorio, che assolve a compiti di difesa del suolo dalle erosioni e ne caratterizza il paesaggio rurale. Che è monotono e piatto, commenta mio marito, convinto che una prolungata vista dei vasti noccioleti aumenti la malinconia e il senso di spaesamento degli abitanti. Gli anziani  raccontano invece come i boschi di nocciolo abbiano salvato la vita degli avellinesi durante il secondo conflitto mondiale:  nascosero  e sfamarono la popolazione che cercò scampo nelle campagne “sotto ‘e nucelle” durante i bombardamenti alleati del settembre 1943. E per quel riparo gratuito e naturale offerto ai profughi c’è ancora chi prova  tanta commozione.

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Ad Avellino non è festa religiosa senza l’acquisto dai bancarellari della ‘nserta di nocelle, una sorta di coroncina i cui grani sono le nocciole stesse tostate e infilate con un cordino. Non c’è Natale e Ferragosto senza che si mangi il torrone, dolce antichissimo,  in cui si mescolano miele, zucchero e nocciole. Il termine dialettale cupeto, con cui si chiama ancora oggi il torrone, deriva dal latino cuppedìa che significa ghiottoneria. E quante cose ancora si possono fare con la nocciola: caramelle nugatine, praline, confetti, torte, gelati, cioccolata, gianduja e anche l’amatissima, controversa nutella.

Fino a qualche anno fa, e ancor prima del terremoto, campi di nocciolo insistevano nel centro cittadino, costituendo di fatto dei veri e propri giardini, alla cui ombra fitta ci si riparava dalla calura estiva. Ricordo i fuochi che si accendevano , dopo aver pulito il sottobosco di rami e foglie secche,  nelle campagne vicine alla città. Ricordo il fumo di quei fuochi, aspro, come di frutti immaturi e legnosi, che riempiva l’aria e levava il respiro a mia suocera.  Era l’odore che precedeva il raccolto delle nocciole, l’odore dell’estate che stava finendo. Era uno dei profumi   di Avellino a settembre.

Per risentirlo ora bisogna uscire dalla città, andare vicino verso Sant’Eustachio, Picarelli, Cardalana, Pennini.  E’ proprio in queste contrade dai nomi evocativi,   che tra ville  di cemento post terremoto e nuovi villaggi dei sogni, sopravvive ancora il paesaggio di un tempo, noccioli bassi dal fusto a raggiera  fino a formare un’ampia chioma verde. E’ in questi dintorni boscosi sembra ancora che la campagna, la nostra produttiva, fiorente campagna possa vincere sull’espansione urbana scriteriata.

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Solo che alla raccolta tradizionali con i teli si è sostituita quella con l’ aspiratore e le voci umane sono oscurate dal rumore assordante e ripetitivo che emette la macchina. Il lavoro ha una durata breve, rispetto ai ritmi del passato , il tempo di riempire e accatastare i sacchi di juta da un quintale su un camion, chiudere i cancelli delle proprietà e lasciare la terra da sola, fino al prossimo anno.

Ben venga quindi ogni progetto di riconversione   del territorio abbandonato in terremo coltivato a nocciolo. Il Piano Nocciola Italia prevede che entro il 2025, 20mila ettari di nuove piantagioni di noccioleto (+30% circa dell’attuale superficie) possano essere sviluppate, dando nuove opportunità di lavoro ai giovani e soddisfacendo al bisogno produttivo.Così l’onorevole Salvini potrà mangiare tranquillo, senza eccedere in inappropriate esternazioni,  la sua   Nutella, una delizia tutta italiana da spalmare sul pane.

pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno domenica 8.12.2019

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