di ANNIBALE COGLIANO.
Procediamo cominciando dalle ricadute sul piano provinciale dell’onda lunga del movimento operaio e sindacale nazionale alla fine degli anni ‘60.Il 20 gennaio 1969 vi è uno sciopero generale dei lavoratori dell’industria e dei trasporti, promosso da CGIL, CISL e UIL, le tre organizzazioni sindacali di massa, con adesione massiccia in tutta la provincia. Richieste: superamento delle zone salariali; ripristino delle pensioni di anzianità con un minimo di lire 1000 giornaliere; ritiro dei minacciati licenziamenti di minatori della SAIM di Altavilla; ripresa della ricostruzione dei comuni terremotati nel 1962; sistemazione della questione ASITA (azienda provincializzata concessionaria delle autolinee, fallita, sotto gestione del curatore e in esercizio provvisorio); denuncia dei padroni delle ferriere dell’Amuco (ex Confir): dopo che un’operaia è stata investita dall’auto di un dirigente (proprietà di cittadini statunitensi), un documento della CISL denuncia altresì «il grave stato di disagio materiale e morale [ricatti a sfondo sessuale dei dirigenti dell’azienda] cui sono costrette le lavoratrici, irretite dal superlavoro e da una subdola e negativa propaganda che, su ispirazione della direzione aziendale, viene condotta nei confronti del Sindacato e della sua azione». Nella stessa giornata vi è lo sciopero dei braccianti e dei mezzadri, indetto su scala nazionale[1].
Al VII Congresso provinciale CGIL, di fine maggio-inizi giugno 1969, il tema dei lavori è “Nell’autonomia l’unità sindacale per l’aumento dei livelli salariali, per la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore settimanali, per una politica economica di riforme, per la piena occupazione e lo sviluppo economico provinciale, per la libertà e la dignità dei lavoratori nei luoghi di lavoro”. Nel congresso, particolare attenzione è data alla lotta per completare l’opera di ricostruzione delle zone colpite dal sisma nel 1962 e alla promozione dello sviluppo industriale. Centrale anche la “questione” dell’Alta Irpinia, dopo gli incidenti avvenuti ad Aquilonia: «tutta la zona è una polveriera pronta ad esplodere a causa del secolare abbandono», annota il Prefetto il 2 giugno. Simili gli argomenti congressuali della CISL nello stesso maggio 1969[2].
Nel luglio è lo stesso Prefetto a farsi carico di illustrare al Ministero dell’Interno il disastroso quadro socio-economico della provincia[3]. In autunno implode la logica piratesca delle modalità di ampliamento del solo nucleo industriale esistente in provincia, di cui fa carico in Parlamento il senatore del Psiup, avv. Costantino Preziosi (già deputato alla Costituente per Democrazia del lavoro e poi trasmigrato nel Partito socialista). I proprietari di case e terreni (66 gli interessati) della frazione di Pianodardine di Avellino, parte del cui territorio è stato espropriato per il nucleo di industrializzazione della provincia, protestano per la mancata congruità dell’indennità di esproprio[4]. La “Tribuna dell’Irpinia”, a firma Pasquale Grasso, titola: «Barricate a Pianodardine? Il nucleo industriale pretende espropriare terreni e case coloniche al prezzo di lire 350 al metro quadrato, mentre al libero mercato si praticano prezzi di lire 5.000. I contadini della zona colpita non si oppongono alla industrializzazione, ma chiedono una equa valutazione dei loro beni che difenderanno con ogni mezzo[5]». Esempio citato: un signore ha appena acquistato una casa per 11 milioni; con la pratica di esproprio in atto, l’immobile sarebbe valutato lire 3.700.000.

Il 9 settembre 1969, Preziosi presenta un’interrogazione con richiesta di risposta scritta al Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno e per le aree depresse e al Ministro dell’Industria e Commercio: «Nonostante sia trascorso oltre un decennio dal suo sorgere, nessuna altra industria seria è sorta nell’ambito del 1° lotto del terreno già a suo tempo espropriato dal fantomatico nucleo industriale […][6].» Inoltre, sottolinea che nel 1963 il terreno espropriato era indennizzato a 800 lire il mq; che altre industrie private hanno preferito installarsi nella zona periferica di Avellino, in tenimento di Mercogliano; che il 2° lotto da espropriare è di 28 ettari, da infrastrutturare con una spesa prevista di 1 miliardo e 300 milioni con il finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno.
Nel 1970, si ripete il copione dell’anno precedente: nel marzo vi è una manifestazione con sciopero generale a Grottaminarda, con richiesta intervento GESCAL per la costruzione di 677 alloggi, completamento della ricostruzione relativamente al sisma del 1962, case popolari, “caselli aperti” per autostrada in costruzione e sviluppo dell’intera zona. Intervengono il senatore Democristiano Tanga e l’on. Vetrano del PCI. Il sindaco e la giunta si dimettono, in segno di solidarietà. A distanza di una settimana segue un’altra manifestazione di alcune province campane e delle regioni Lucania e Basilicata. Le questioni sul tappeto sono le stesse: la stasi dello sviluppo agricolo, la mancanza di case popolari, trasporti e sanità fatiscenti. Nel novembre, la protesta si ripete in Lioni con partecipazione dell’intera cittadinanza e con delegazioni dei comuni dell’Alta Irpinia[7].
Ma è possibile uno sviluppo locale che prescinda da una politica statale di grande respiro? Sullo non si fa illusioni. Nella seconda città della provincia, Ariano, governata dal centrosinistra dopo due decenni di governo delle destre, in occasione di un tour politico nell’estate del 1970, in un comizio al cinema Oasi, dopo aver rilevato che, nelle campagne arianesi e in città, molte opere sono state realizzate (acquedotti, elettrodotti, strade, scuole) grazie all’intervento democristiano, sottolinea: «I problemi si risolvono soltanto sul piano nazionale, poiché le impostazioni locali debbono far riferimento a quelle nazionali. L’industrializzazione si farà, se ci sarà programmazione avanzata in una certa forma decisa dallo Stato[8]».
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La novità politica degli anni ’70, è che, sullo sviluppo da promuovere in un’area depressa e sulle domande politiche che esso pone, alla Democrazia cristiana, partito innervato nella società civile e al contempo partito di governo, si affianca il Partito comunista.

Per quest’ultima forza politica, passaggio obbligato è il suo svecchiamento, cosa per la quale interviene con forza la Direzione nazionale del Partito. La segreteria regionale (Abdon Alinovi, con nota del 29 aprile 1971) propone di sostituire Gaetano Grasso quale segretario di federazione, senza indugio, e ciò «per l’orientamento non limpido del Grasso tra l’XI e il XII Congresso, divenuto acuto all’indomani della vicenda elettorale del ’70, che, ancor più in precedenti occasioni, ha segnato un momento di grave crisi della federazione». Se sino ad ora non si è proposto il cambio è perché non vi era un’alternativa valida con compagni e sia per «la necessità di far prendere coscienza a tutto il quadro sezionale dei termini reali del complicato scontro politico-elettoralistico svoltosi all’interno del gruppo dirigente federale e, quindi di far sviluppare un dibattito critico che puntualizzasse certo le responsabilità di alcuni personaggi, per esempio del compagno Quagliariello, ma anche quelle più generali di un clima e di un’impronta di tipo elettoralistica di cui, purtroppo, la massima responsabilità, nelle elezioni del 1970, risale al compagno Grasso[9]».
Alinovi continua la sua nota, rilevando la sproporzione esistente nel Comitato Federale fra esponenti della città ed esponenti della provincia, con penalizzazione di questi ultimi, e sottolineando il ruolo positivo di Antonio Bassolino, membro della Segreteria federale, che lavora d’intesa con la segreteria regionale, traferitosi ad Avellino, con risultati lusinghieri (crescita del partito, della Federazione Giovanile Comunista, recupero del rapporto con le sezioni storiche dell’Alta Irpinia), lo propone a segretario provinciale. Bassolino, 25 anni, ha militato sin da ragazzo nella sezione di Afragola, difficile città dell’entroterra napoletano; ha lasciato gli studi di medicina (giunti con successo al IV anno) e si è iscritto a filosofia.
La proposta mette però le mani avanti, rinviando ogni decisione al Centro nazionale, perché qualche anno prima il giovane Bassolino ha avuto tentazioni eretiche, schierandosi con il Manifesto, gruppo dissenziente ingraiano, espulso dal Partito[10].

Mani avanti con qualche correzione: «Prima ancora che per una razionale critica dell’errore compiuto nello schierarsi, al congresso di Napoli, con il gruppo di Caprara, Bassolino è stato tra i primi a voltar pagina perché la scelta del partito era stata di un certo tipo, cioè non superficiale, appassionata e sicura. Indubbiamente, le posizioni politiche sostenute dal Bassolino nel XII Congresso della federazione napoletana furono errate, come egli stesso ha riconosciuto, frutto di immaturità ideologica e politica e, nel contesto di quella vicenda congressuale, certamente pericolose. Successivamente, nel corso della lotta politica, prima e dopo l’espulsione di Caprara [Massimo, stretto collaboratore di Togliatti nel passato], il Bassolino ha manifestato volontà ed impegno di correzione, e nell’orientamento e nella pratica[11]. Prova ne è il buon lavoro svolto ad Afragola (tesseramento, attività sezionale, diffusione stampa, costruzione quadri, iniziativa politica, risultati elettorali di forte avanzata) e nella Federazione napoletana. Sul lavoro ad Avellino abbiamo già detto ed esso è apprezzato e considerato anche dai meno benevoli, perché politicamente irreprensibile e, per il rendimento, assai elevato. Certo, il comportamento al XII Congresso costituisce un punto negativo nella milizia del compagno Bassolino e non ci sfugge che, nel proporlo quale segretario della Federazione, si debba calcolare un certo elemento di rischio. Fino a che punto i nuovi e giusti orientamenti e la manifestata capacità di collegarsi alla nostra tradizione ideale e culturale sono consolidati in lui al punto di farne un militante a cui guardare con fiducia come segretario di Avellino? La nostra opinione è che nella situazione attuale di quella federazione il rischio più grave, perché senza sbocco positivo, è continuare ad avere l’attuale direzione[12]». La direzione nazionale accoglie la proposta.
Un anno e mezzo dopo, Alinovi traccia il bilancio del rinnovamento in atto: il trapianto di Bassolino si è rivelato un’ottima scelta per la valorizzazione di «valorosi compagni giovani (Michele d’Ambrosio e Lucio Fierro), per lungo tempo emarginati nella vita della federazione e per il superamento di una crisi organica della Federazione di Avellino che aveva dato inquietanti manifestazioni nel corso della lotta contro il Manifesto e nelle elezioni regionali del ’70. Del resto non vi sono soltanto risultati organizzativi a parlare chiaro, ma anche notevoli successi del movimento politico e di massa e dell’azione esterna del Partito. Un qualsiasi superficiale osservatore, purché superi la barriera di un certo gruppo di compagni della città di Avellino, se ne può rendere conto. È accaduto infatti che dirigenti socialisti, esponenti della DC abbiano più volte manifestato, in occasione di contatti ed incontri a livello regionale, il loro vivo apprezzamento per l’opera dei compagni di Avellino, che hanno introdotto nella vita politica di quella provincia un impegno, uno stile, una moralità che ci fa diversi (e quindi ammirati) dagli altri[13]».

Relativamente all’organizzazione, meritano essere riportati alcuni dati: nel 1972, le sezioni raggiungono il numero di 60 unità in tutta la provincia (costituita da 119 comuni); i giovani iscritti sono circa 1.000[14]. Nel 1973, vi è un ulteriore balzo in avanti: 7.158 iscritti rispetto ai 5.870 del 1972; i giovani della FGCI passano a 1.500. La crescita continua negli anni successivi; molte le donne (con costituzione dell’Unione Donne Italiane), tante giovanissime, impegnate nella lotta per la casa, per i sinistrati, per un nuovo diritto di famiglia, per l’aborto legale e assistito[15]. Non si tratta solo di una crescita quantitativa, ma dell’affacciarsi di una dialettica democratica nella provincia (in parallelo cresce anche il movimento giovanile democristiano), che è anche emancipazione femminile e protagonismo giovanile, che mai il territorio ha conosciuto. Le sezioni e le nuove organizzazioni politiche e sindacali, oltre che reti sociali di discussione su questioni locali, sono una finestra di apertura e di discussione sul mondo, anime di una polis allargata in continuo divenire[16].
Per quanto concerne la Democrazia cristiana, con gli anni ’70 è De Mita ad avere il controllo incontrastato del partito in Irpinia, che cresce contestualmente all’ascesa politica in campo nazionale, ricoprendo cariche prestigiose, sia all’interno del partito che nel governo: consigliere nazionale della Democrazia cristiana dal 1956, deputato dal 1963, è vicesegretario nazionale del partito dal 1969 al 1973, ministro dell’Industria, del commercio e dell’artigianato nel quarto e nel quinto governo Rumor (luglio 1973-novembre 1974), ministro del Commercio con l’estero nel quarto gabinetto Moro (1974-1976), e Ministro senza portafoglio con delega per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno nel III e IV governo Andreotti dal 1976 al 1979, anno in cui di nuovo ricopre anche la carica di vicesegretario nazionale della Democrazia cristiana[17]. In Irpinia, la Sinistra di base è chiamata pertanto a passare dalla proposta, dalla critica, dalla denuncia dello sviluppo distorto a fare i conti con l’azione politica in un’area depressa, prova del nove di un partito che vuole essere di governo e interprete dei bisogni della società civile.
Le foto sono di Ugo Santinelli
[1] Cfr. ACS, Min. Int. Gabinetto, Quadriennio 1967-1970, b. 168, “Avellino, situazione economica industriale1967-1969”, nota prefettizia del 23 gennaio 1969. Meritano essere riportati stralci della relazione del segretario generale della CISL, Spitalieri: la CISL è riuscita a pubblicizzare l’ASITA, concessionaria dei trasporti pubblici provinciali, qualificando il servizio e l’occupazione attraverso il passaggio all’Amministrazione provinciale (con l’INT, l’“Istituto Nazionale Trasporti”), ed è riuscita a mantenere la quota della coltivazione del tabacco all’ATICAP nella Valle Caudina, garantendo l’occupazione di 1.000 lavoratori; e ha dato il suo contributo alla costituzione del Comitato per la programmazione e lo sviluppo economico provinciale.
[2] Per entrambi i congressi, cfr. ivi.
[3] Il Prefetto, a premessa della sua relazione, sottolinea che essa è frutto di un’indagine capillare, e che sono state indagate le cause remote e contingenti di una provincia che si presenta globalmente come area depressa, con la maggior parte del suo territorio costituito “da zone aride e brulle, afflitte da secolare miseria”, tranne alcune ubertose e fertili. E quanto a diversità, la maggior parte delle popolazioni “è tranquilla e pacifica, dotata di particolare vivacità e ingegno”, a fronte di poche altre (Quindici, Lauro e Moschiano, zone di camorra senza anticorpi civili e politici di sorta) con secolari “tendenze alla delinquenza”, che hanno il forestale nelle statistiche per i reati contro le persone e il patrimonio.
A grandi linee la provincia può essere divisa in due zone: una pianeggiante e collinare, fertile, e un’altra, la più estesa, montagnosa, per lo più arida, che è la più povera. Questa seconda zona ha problemi «che hanno radici profonde, cause ataviche di depressione economica, di povertà del suolo e arretratezza dei sistemi di coltivazione, nonché assenza di risorse e di iniziativa di tal che, come al secolo scorso, ancora oggi l’emigrazione rimane la maggiore se non l’unica risorsa, ma a differenza che in passato, con un sottofondo di risentimento e un senso di ribellione represso che deriva dalla presa di coscienza della propria condizione e dalla volontà di far valere i propri diritti».
Le questioni più gravi: la lentezza della ricostruzione del patrimonio abitativo danneggiato dal sisma del 1962; le mancate provvidenze per numerosi comuni alluvionati (ben 39); comunemente ad altre province meridionali, l’arretratezza dell’agricoltura e la ripresa massiccia dell’emigrazione, per la caduta dei livelli occupazionali.
La relazione ha un impianto molto anomalo per un Prefetto: ricca di proposte (che qui si tralasciano), come se fosse un segretario di un partito politico e di autocelebrazione per gli interventi fatti presso i comuni.
[4] Legge di riferimento è la 167 del 1962 e successive modifiche, disattesa comunque perché per Avellino si tenta di applicare la legge per il risanamento della città di Napoli, che fissa una decurtazione del 50% del valore degli immobili; inoltre, è fraudolenta la valutazione dell’Ufficio Tecnico Erariale.
[5] Nota del prefetto nella relazione citata, che riporta copia dell’articolo del giornale, senza data.
[6] Il riferimento è al Consorzio per il nucleo industriale costituito nel gennaio 1962 dall’Amministrazione provinciale, dalla Camera di Commercio e dai comuni di Avellino, Pratola Serra, Prata Principato Ultra, Atripalda, Montefredane, Capriglia Irpina, Mercogliano, che versano, con diverse quote, complessivamente 62 milioni. Cfr. ivi.
[7] Cfr. ACS, Min. Int. Gabinetto, Quadriennio 1967-1970, b. 168, “Avellino, situazione economica industriale1967-1969”, note prefettizie del 16, 23 marzo e 2 novembre 1970.
[8] Sullo, che fin dal 1955 si è battuto per il centrosinistra, conclude il suo intervento affermando che continuerà a battersi per tale formula, pur rilevando che dopo un quindicennio le speranze nella produttività della formula si sono diradate; i socialisti non si sono attenuti ai loro propositi e hanno creato difficoltà al Governo; la loro scissione è un fatto negativo nei confronti della DC e sarà difficile riportare insieme al Governo i due partiti socialisti. Cfr. “Tribuna dell’Irpinia” e nota prefettizia, rispettivamente del 10 e del 12 settembre 1969. Ivi.
[9] Cfr. IG, APC, MF 057, 1971, p. 1374 e segg., “Nota di Abdon Alinovi sulla federazione irpina, 29 aprile 1971, inviata ad Amendola, Napolitano, Reichlin”.
«In ogni caso, però – continua la nota –, la nostra segreteria è stata sempre ben consapevole della necessità di sostituire il compagno Grasso, di cui non ci sfuggivano e la fondamentale fiacchezza politica e la condotta talvolta deplorevole. Si ricorderà che in occasione delle regionali, dapprima, nel febbraio del ’70, il compagno Grasso, consultato per le candidature, escluse che si dovesse puntare sulla sua elezione come un’aperta scelta del Comitato federale e del Partito, preferendo l’assurda decisione di presentare lista alfabetica aperta alla libera concorrenza [sottolineatura nel testo, come le successive]; successivamente, e dopo il nostro intervento, rovesciando il fronte delle alleanze, “con il gruppo di Avellino”, accolse e fece prevalere il principio della designazione, rifiutando, però, come gli era stato (anche da me personalmente) richiesto, di ritirare la propria candidatura e di promuovere la designazione di un altro compagno, non invischiato nella concorrenza dei Freda e Quagliariello; da ultimo, forzando la volontà del C.F. [Comitato Federale] per ottenere una designazione che gli veniva accordata poi con uno scarsissimo margine di maggioranza. Nel corso di circa un anno la discussione con il compagno Grasso perché considerasse criticamente tutto il proprio operato è stata il più delle volte penosa; la colpa di tutto risaliva, a suo parere, a Quagliariello (tuttavia proposto sempre, anche nel ’70, come candidato); bisognava far dimettere o espellere Quagliariello, ecc. ecc. Abbiamo seguito da vicino la situazione di Avellino e possiamo dire di essere solo in parte riusciti, anche perché il compagno Grasso, anziché impegnarsi nel lavoro per recuperare parte del prestigio perduto nella vicenda elettorale, ha ristabilito una serie di legami non chiari e comunque non positivi, con il gruppo di Avellino città, gruppo a voi ben noto anche per la sua posizione equivoca e sleale sulla questione della redazione di quelli del “Manifesto”».
[10] L’eresia, che riprende temi gramsciani, in estrema sintesi: posizioni critiche sul socialismo reale e sull’Unione Sovietica, in cui si è sostituito al dominio di classe la dittatura di un partito che riproduce disuguaglianza e sfruttamento; lettura del nuovo capitalismo italiano; valorizzazione dei movimenti sociali, politici e culturali del ’68 e ’69 in Italia e nel mondo, che ripropongono in forme nuove la rivoluzione in Occidente e la maturità del comunismo. Cfr. la rivista “il manifesto” 1969-70, passim.
[11] Bassolino come altri iscritti napoletani al Partito comunista, pur condividendo le tesi del manifesto – a differenza della sezione comunista di Avellino città, che sostiene in termini liberali il diritto al dissenso – alla fine, sceglie di non uscire dal Partito (seguendo in ciò il leader della sinistra comunista, Pietro Ingrao: stare nel gorgo delle contraddizioni di massa): è preferibile far politica in un partito di massa che in una forza politica minoritaria. Cfr. intervista del 14 settembre 2020.
[12] Ivi.
[13] Cfr. IG, APC, MF 052, p. 762 e segg.
[14] Cfr. IG, APC, MF 038, p. 1927 e segg.
[15] Cfr. IG, APC, ivi, e MF 225, p. 1687 e segg.
[16] Sul piano interno, la questione insoluta è quella del rapporto fra i comunisti della città, da un lato, e i comunisti dell’apparato della Federazione e del resto della provincia, dall’altro: «Al fondo di tutte le crisi della Federazione vi è sempre stata la questione di questi rapporti. In breve, un gruppo di compagni di Avellino ha sempre preteso di esercitare nei confronti di tutto il resto della provincia una sorta di egemonia, che non poteva non suscitare contrasti, ostilità e diffidenze in tutto il resto della Federazione, soprattutto perché non fondata su una linea politica giusta e, troppo scopertamente, legata all’ambizione elettorale di alcuni dei compagni di Avellino città». Cfr. IG, APC, MF 052, cit.
[17] Cfr. Camera dei deputati, Portale storico, sub voce; Treccani, on line, sub voce. Non è questa la sede per la storia politica di De Mita, che continua sino ad oggi. Basterà qui ricordare che sino alla fine degli anni ’70, a partire dal 1963, ha presentato 76 progetti di leggi, e che alla fine degli anni ’80 sarà Presidente del Consiglio (aprile 1988-luglio 1989) e, allo stesso tempo, Segretario nazionale del partito, doppia carica che i suoi stessi compagni mai digeriranno.