di Annibale Cogliano.
È opinione politica e storiografica condivisa che la scissione socialista di Livorno, del 21 gennaio 1921, che sfocia nella nascita del Partito Comunista d’Italia, è un fallimento sul piano numerico (59.000 comunisti su 172.00 votanti) e un fallimento sul piano politico, sia perché il movimento di lotta rivoluzionario del biennio rosso è alle spalle e sia perché è preparata e guidata dal generoso, quanto rigido e settario, Amadeo Bordiga. Se la si vuol cogliere in Irpinia, c’è da rilevare semplicemente la sua inesistenza: alla nuova formazione politica aderisce (almeno dalla documentazione in nostro possesso) prima il ferroviere di Atripalda, Gennaro Maffei, e poi il leader provinciale socialista Ferdinando Cianciulli (che negli anni passati ha frequentato da vicino Amadeo Bordiga) e pochi altri socialisti[1]. Alla fine di dicembre del 1921, i comunisti tesserati in provincia assommeranno all’esiguo numero di 19[2], quasi tutti di Avellino città e Atripalda. Solo nell’autunno dell’anno successivo, grazie all’apporto dei giovani del circolo giovanile socialista di Montella, capeggiato da Michele Cianciulli, cugino di Ferdinando che ormai non è più fra i vivi, il numero dei comunisti cresce di alcune decine di unità[3]. Crescita che, grazie anche ad altri nuovi iscritti ex socialisti, appartenenti sia al ceto medio che ai ceti popolari[4], nel 1923, porterà i comunisti irpini a costituirsi in Federazione (6 sezioni; 72 iscritti; segretario, il ferroviere Gennaro Maffei, vicino a Bordiga, come Cianciulli)[5], incastonata nel Segretariato interregionale n.5, comprendente le regioni meridionali.
Se, nel complesso, povera assai nel Mezzogiorno è la scissione, in primo luogo resta da spiegare la specificità provinciale e, in secondo luogo, il ruolo politico svolto da questa minoranza, che sino alla liquidazione repressiva operata dal fascismo nel 1926, avrà comunque una sua nobile e accidentata storia.
Fattori strutturali e sovrastrutturali s’intrecciano per il primo aspetto: la composizione sociale e la cultura socialista ad essa più organica. Fattori culturali e politici per il secondo: la figura di Remigio Pagnotta, vicino da sempre alla linea radicale-rivoluzionaria di Cianciulli, e il nucleo operaio sindacalizzato e politicizzato dei ferrovieri, di cui leader è Gennaro Maffei, fondatore della sezione socialista di Atripalda nel 1920.
Quanto al primo aspetto, la provincia è caratterizzata da un paesaggio agrario a coltura cerealicola, punteggiata a vigneto, in cui, a fronte di poche grandi proprietà private e di alcuni estesi demani pubblici, e vaste, mortifere, zone malariche[6], domina la piccola proprietà terriera e la conduzione in fitto sino alla frantumazione parcellare, senza attrezzature tecniche adeguate. A latere: una quantità enorme di figure precarie dai mille mestieri: i giornalieri annotati dal censimento del 1911 sono ben 97.613. I salariati fissi (come nel Tavoliere pugliese o in Sicilia) sono quasi inesistenti. Piccola proprietà, fitto e lavoro precario sono un serbatoio continuo di aspiranti emigranti[7]. Si aggiunga che l’analfabetismo ufficiale[8] ascende al 68%, su una popolazione presente di 375.515 unità. I rapporti sociali sono giocoforza semifeudali, dove il notabilato politico professionale e agrario fa da padrone. Una cultura politica radicale, alternativa di classe è giocoforza impensabile.
Sola voce di dissenso è una minoranza socialista cui fa capo un periodico talvolta quindicinale, talvolta mensile, con una lunga storia (dal 1905): “Il Grido”[9], diretto e composto da un apostolo e pubblicista d’eccezione, Ferdinando Cianciulli (1881-1922), iscritto alla sezione di Benevento, diciassettenne, al Partito socialista, dal 1898, a seguito dell’eccidio degli inermi rivoltosi milanesi. Cianciulli è figlio di una famiglia benestante della media borghesia (suo padre era un armaiolo, che aveva ereditato alcune proprietà terriere; sua madre insegnante elementare, di famiglia agiata). Avviato dal padre controvoglia alla carriera ecclesiastica, la interrompe facendosi espellere dal seminario diocesano di Benevento (contrappasso futuro: acceso anticlericalismo ed erezione di un busto di bronzo a Giordano Bruno nella sua Montella), città invero formativa per lui per il legame culturale e affettivo che stringe con Luigi Basile (1869-1951), segretario della locale sezione socialista, massone (due volte consigliere provinciale, sindaco di Benevento, deputato del Partito socialista riformista alle politiche del 1913 e del 1919, infine liberale giolittiano nel 1921, che Cianciulli apostroferà di rinnegato nel “Grido” del 19 giugno 1921), di cui diventa amico e discepolo. Poi, dopo una fallimentare e breve frequenza della Scuola enologica di Avellino, pure imposta dal padre, Cianciulli, a tempo pieno e vivendo del suo, si dedica alla militanza politica prima nel capoluogo (è fra i fautori dell’Unione dei Partiti Popolari – linea caldeggiata dalla direzione del Partito socialista, che ritiene immaturo un approccio di classe nel Mezzogiorno – contro la vecchia guardia liberale, capeggiata da Achille Vetroni) e poi a Montella, assicurando, come pubblicista e mentore, la sua presenza e la sua voce ovunque vi siano simpatizzanti e militanti socialisti, o anche radicali e anarchici.

I collaboratori del “Grido” (i cui contributi sono per lo più anonimi), di rilievo regionale e nazionale, ne fanno un periodico di alta levatura; pubblicato in Montella, è una voce autorevole che si fa intelligentemente interprete, oltre che degli avvenimenti politici provinciali, della lettura dei grandi eventi internazionali e nazionali. Non sappiamo il numero delle copie diffuse nel corso del tempo, ma, dalle sottoscrizioni, dall’elenco degli abbonati, dalle testimonianze di solidarietà che giungono in momenti dolorosi per il suo direttore (un’aggressione ordita dal sindaco del suo paese, scandalosamente assolto per insufficienza di prove dopo 4 anni di rinvii giudiziari[10]), si può evincere che il periodico trova eco in una significativa area di opinione, non solo in provincia, ma anche in altre aree meridionali e sin anche fra gli emigrati negli Stati Uniti[11]. Abbonati al giornale: intellettuali sparsi in molti comuni; ferrovieri in Avellino e Atripalda; minatori delle cave di zolfo di Altavilla; pellettieri di Solofra; braccianti e artigiani di Montecalvo, Ariano (socialisti riformisti intorno alla figura di Oreste Franza), Orsara di Puglia, Lacedonia, Rocchetta S. Antonio (in cui sono presenti il Circolo Operaio e la Lega di Resistenza dei Contadini), Calabritto, Calitri. In alcuni di questi comuni confinanti con la Capitanata, si è venuta formando dagli inizi del secolo una cultura politica socialista fra i lavoratori stagionali, che hanno familiarizzato con il proletariato rurale del Tavoliere pugliese, e, altresì, si è conservata la memoria del socialismo degli albori, lasciata dagli operai del Centro-nord che, fra fine ‘800 e inizi ‘900, hanno costruito la ferrovia che attraversa la provincia[12]. Sono comuni, infine, l’emigrazione transoceanica di ritorno dagli Stati Uniti, aggiungendosi in taluni casi ai valdesi presenti da più antica data[13], ha portato una cultura cristiana protestante progressista con venature politiche anarchiche: attesa di una palingenesi e di un mondo nuovo, non solo ultraterreno ma anche terreno.
Se per tanti aspetti il rapporto del “Grido” con quest’area è continuo e permeato di valori e contenuti condivisi (la critica al notabilato liberale, l’anticlericalismo, la lotta per migliori condizioni di vita, l’attesa palingenetica di un mondo migliore), ad un certo punto della sua storia si ha una torsione: la denuncia senza appello da parte del periodico dell’avventura coloniale libica non trova consenso generalizzato. La modesta area socialista provinciale si spacca in due: una parte di essa, capeggiata dall’arianese Oreste Franza, si riconosce nei socialisti riformisti espulsi[14] dal Partito socialista al congresso di Reggio Emilia, nel luglio 1912, rei di aver appoggiato la guerra contro la Turchia e per aver intavolato un nuovo rapporto con l’area di governo giolittiana[15]. Nel “Grido” del 14 agosto 1912, Cianciulli, obtorto collo, dovrà dire di Leonida Bissolati, leader nazionale del neo Partito socialista riformista: «Bissolati militava da 20 anni nelle nostre file; poteva vantare altissime benemerenze; era uno dei leader parlamentari; uomo di vasti meriti, di forte e diritta integrità morale».
La linea successiva del periodico diventa comunque ancora più intransigente, ma il rispetto dei dissenzienti è un atto obbligato. Atto obbligato per ragioni politiche: Oreste Franza ha larga influenza sui socialisti di Ariano e dell’Alta Irpinia (Lacedonia, Rocchetta S. Antonio, Calitri, Bisaccia), ai quali più tardi si accoderanno numerosi socialisti di Solofra e di Avellino. Ed è un atto obbligato per la cultura socialista della provincia che, in un ambiente affamato di terra e di lavoro, si innerva nel fascino collettivo della terra promessa della colonia. Il 5 ottobre 1913, Bissolati è ad Ariano, in campagna elettorale per le elezioni politiche del 1913. Da un resoconto del suo discorso, che ha come asse le tesi dell’insostenibilità della lotta di classe in Irpinia e dell’opportunità di una politica di alleanze democratiche, riportiamo uno stralcio: «Oreste Franza mi diceva che nell’Irpinia non esiste una vera contrapposizione di una classe di sfruttatori a una classe di sfruttati: la famiglia qui si asside sulla piccola proprietà, sulla breve cerchia della quale si gradua tutta la sua attività ed economia: qui siete un po’ tutti proprietari. Ma se nelle terre d’Irpinia non esiste il grande cozzo delle classi, la lotta del lavoro con il capitale, voi avete sempre una battaglia da combattere per l’epurazione delle pubbliche amministrazioni dai solidi nuclei di camorre che l’aduggiano, per dar tono di elevazione alla vita civile[16]».
Con la Grande Guerra, il periodico salda passato e presente, diventando un’alta testimonianza di pacifismo[17], pur non traducendosi propulsore di iniziative contro la guerra, tranne nel solo capoluogo il 18 maggio 1915[18] (in piena crisi parlamentare del governo Salandra). Cianciulli resta ancora una volta isolato, perché la maggior parte dei socialisti irpini si schiera a favore dell’’intervento, ripetendo il copione della Libia. Sulla solitudine politica e sullo scarto che c’è fra cultura politica alta e ricadute sul territorio, frequente è il grido di Cianciulli, sconsolato e impotente rispetto al quadro socio-economico e culturale di «creature umane senza pane, senza voto, senza coscienza, senza ideali».
Ciononostante, le riflessioni e le previsioni del “Grido”, attualizzandosi con i tragici eventi degli anni successivi, gettano un lievito fecondo per la storia futura della provincia: tanti socialisti avranno una riconversione sulla bella guerra e nuovi quadri nasceranno fra gli studenti, gli operai, gli artigiani e i contadini, i reduci. Sono gli uomini che punteggeranno di rosso la provincia, che resterà sì filogovernativa, ma che vedrà per la prima volta la costituzione di leghe operaie e sezioni socialiste nell’immediato dopoguerra (conta poco se avranno vita breve, perché la memoria di un possibile altro ordine di cose si conserverà a lungo). Sono gli stessi uomini che saranno poi, molto più avanti nel tempo, gli antifascisti clandestini o manifesti della provincia (valga per tutti la radicalizzazione politica del farmacista Pietro Cristino, di Montecalvo, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, il cui figlio, unico in Irpinia, parteciperà alle Brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola, trovando la morte in prigionia), e che, nel secondo dopoguerra, animeranno le lotte per la terra e approderanno al Partito comunista.
Il giornale cessa la pubblicazione a seguito della chiamata alle armi di Cianciulli nell’agosto del 1915 (ritornerà dalla guerra il 18 novembre 1918). In uno degli ultimi numeri, quello del 18 giugno 1915, in un articolo censurato e ripubblicato con la ripresa del giornale il 29 agosto 1919, dal titolo L’ora dei popoli, si sarebbe potuto leggere in versione locale il né aderire, né sabotare del Partito socialista nazionale: «Non saboteremo la mobilitazione, non impediremo la guerra, non proclameremo alcun movimento; vi seguiremo nolenti, limitandoci a separare dalla vostra la nostra responsabilità, di fronte alla storia: lasciateci scrivere l’ultima parola socialista in confronto all’Internazionale e al nostro dovere. Lasciateci dire fino all’ultimo il nostro pensiero, poi ci avrete a vostra disposizione e ci faremo macellare alla frontiera».

Nella seconda metà del 1920, Cianciulli, coronando una lunga attesa, non sarà solo l’infaticabile direttore del “Grido”: dopo alcuni mesi di lavoro più strettamente politico, promuoverà il 2° congresso della Federazione socialista in qualità di segretario (la Federazione è stata costituita nel convegno di Montella, il 17 luglio 1920). Lo stesso “Grido” d’ora in avanti si qualifica come organo della Federazione socialista irpina, con propria redazione allargata ad altri dirigenti socialisti. Alle più antiche sezioni socialiste (Avellino, in perenne crisi, e Montella), dai comuni in cui vi erano semplici simpatizzanti socialisti, se ne sono affiancate delle nuove formate nel dopoguerra[19]: Atripalda, Bonito, Bisaccia, Calitri, Lacedonia, Ariano, Mirabella, Solofra, Altavilla, Rocchetta S. Antonio (in queste tre ultime località vi è stata sin anche la conquista del comune alle amministrative, grazie anche al sostegno della Camera del Lavoro e delle varie Leghe). «[…] La fine della guerra – scrive Cianciulli – portò anche nella nostra regione un divampare di forze e di energie, suscitò gli spiriti repressi, unì i lavoratori dispersi, li amalgamò; li fuse, la necessità impellente di affrontare le lotte per la vita, per il pane, per la famiglia. E noi constatammo che molti non ebbero fede e si misero nella via dell’emigrazione; altri si consumarono in uno sterile rimpianto, in cui la maledizione per la terra natia che non dava il pane era predominante; infine vi fu il manipolo degli audaci che volle lottare per vincere e per vivere.» La vita di tali sezioni sarà però breve e travagliata. Malgrado la segreteria di Cianciulli (“IL Grido”, in prima pagina, sul suo logo ha aggiunto da tempo Costituzione della Repubblica Socialista dei Soviet), quasi tutte passeranno dal Partito socialista ufficiale al Partito nazionale fascista o al Partito socialista unitario[20], in una sorta di continuità di linea del Partito socialista riformista, in profonda crisi nel dopoguerra. Di qui il passaggio di Cianciulli, ancora una volta isolato e frustrato, al Partito comunista d’Italia. È il suo ultimo atto politico prima di venir assassinato nel febbraio del 1922 per vendetta privata, dopo aver ripetutamente denunciato i mandanti dell’omicidio di una giovane maestra del suo paese natale.
[1] Cfr. Archivio Istituto Gramsci, Roma, Mf 062, in cui si annota però solo Cianciulli.
[2] Cfr. P. Spriano, Storia del Partito Comunista da Bordiga a Gramsci, Einaudi, Torino 1967, p. 165 (i dati sono desunti dalla Relazione del Comitato Centrale al II Congresso del PCd’I).
[3] Cfr. “Avanti”, 19 novembre 1922.
[4] Cfr. il paragrafo di F. Barra, “Il partito comunista dalla legalità alla clandestinità” nel saggio Il regime fascista, in Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, Sellino-Barra Editore, Pratola Serra 1996, vol. VI, pp. 158 e segg.; il breve e innovativo saggio di C. Clericuzzo, I comunisti irpini dopo la scissione di Livorno, in “Il Quotidiano del Sud”, 22 gennaio 1921.
[5] Sezioni e iscritti: Montella 30; Avellino, 17, Atripalda, 8; San Michele di Serino (di cui è nativo Ugo Girone, segretario interregionale pe il Mezzogiorno, candidato alle elezioni politiche del 1924), 6; Santa Paolina, 3; San Giorgio del Sannio, 8. Cfr. P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI nel 1923-1924, Editori Riuniti, Roma 1974 (1° ed. 1960); AA. VV., Il Partito comunista italiano – Struttura e storia dell’organizzazione 1921-1979, Annali Feltrinelli, 1982, a c. di M. Ilardi e A. Accornero, saggi di M. Ilardi e R. Martinelli.
[6] Cfr. Inchiesta Parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, vol., IV, Campania, – Relazione del delegato tecnico prof. Oreste Bordiga, Roma 1909; Censimento della Popolazione del Regno d’Italia al 10 giugno 1911, Tipografia delle Mantellate, Roma 1912 (per la provincia di Avellino, pp. 31-35). Dall’Inchiesta citata, su 128 comuni che compongono la provincia, vi sono 62 zone malariche alle quali non si sottrae nessuno dei tre circondari: 14 zone in 12 comuni del circondario di Avellino; 20 zone nel circondario di Ariano, 22 zone nel circondario di S. Angelo dei Lombardi.
[7] Dal 1884 al 1914 sono rilasciati 276.792 passaporti (emigrazione transoceanica), pari al 68% della popolazione, la percentuale più alta fra le province campane; in alcuni comuni dell’Alta Irpinia la percentuale giunge al 100%. Nel primo quindicennio del secolo, partono circa 200.000, quasi tutti per gli Stati Uniti. Cfr. Annuario Statistico dell’emigrazione italiana dal 1876 al 1925, Roma 1926; G. Panico, Per una storia dell’emigrazione irpina nell’età liberale (1881-1914) in AA. VV., Proprietà borghese e ‘latifondo contadino’ in Irpinia nell’’800 (a c. di A. Cogliano), Quaderni Irpini, Gesualdo 1989.
[8] Diciamo analfabetismo ufficiale, perché il solo sapere apporre la propria firma o compitare qualche parola faceva annotare alfabeti.
[9] Dal 1905 al 1909 con il nome di “Il Grido degli umili”, dal 1910 “Il Grido”, titolo dei periodici socialisti e degli anarchici diffusissimo nel Paese fra fine ‘800 e inizi ‘900.
D’obbligo il rinvio al prezioso volume di M. Garofalo, Alle origini del socialismo in Irpinia – Ferdinando Cianciulli, Edizioni del “Centro Dorso”, Avellino 1986. Basterà qui tratteggiare brevemente
Cianciulli sarà assassinato nel febbraio del 1922, non però per moventi politici, ma per vendetta privata: la ripetuta denuncia del mandante dell’omicidio di una giovane maestra comunale (in Montella, l’atavica cultura silvo-pastorale contribuisce a rendere la violenza mortale fenomeno ricorrente e diffuso da tempo immemorabile); cfr. l’accurato lavoro di C. Valentino, Delitti incrociati, Mephite, Atripalda 2012, costruito sulle fonti processuali.
[10] Per l’aggressione (altri rei oltre il sindaco) e la relativa vicenda processuale, cfr. “Il Grido”, 16 luglio 1911, 25 aprile 1913, 17 maggio 1913, 16 marzo 1914, 5 giugno 1915.
[11] Da “La voce del popolo italiano” e da “Il proletario” di New York, da singoli di città di altri stati giungono con frequenza sostegno finanziario e scambi culturali. Cfr. “Il Grido”, passim.
[12] Cfr., ad esempio, per Calitri, Archivio di Stato di Avellino, Prefettura, Pubblica Sicurezza, b. 5, fasc.lo 111, note del sottoprefetto di S. Angelo dei Lombardi del 16 e 20 settembre 1894. Cfr., inoltre, “Il Grido”, 13-14 luglio 1910; “Avanti” 7 agosto 1903.
[13] I casi più significativi: Orsara e Calitri. In Orsara, centro popoloso contadino del Sub-Appennino dauno, con oltre 6.000 abitanti, ai confini con la Capitanata (dal 1861 al 1927 incorporato nella provincia di Avellino), con paesaggio agrario caratterizzato da coltura estensiva, latifondi ex feudali e demaniali, semi-incolti, boschivi o utilizzati a pascolo, ricorrenti sono le lotte sociali per la terra; ultime quelle del primo decennio del ‘900, protagonisti delle quali sono i socialisti e la Chiesa Valdese che predica uguaglianza e condivisione dei beni comuni. Calitri, a partire dal 1899, è un centro di irradiazione della Chiesa Battista in Pescopagano, Bisaccia, Guardia dei Lombardi. Per una trattazione più ampia, cfr. A. Cogliano, La destrutturazione della vita comunale, in A. Cogliano-F. Barra, Il ceto politico irpino dai Borboni a Giolitti, Quaderni Irpini, Gesualdo 1990; Idem, Due Italie tra fascismo e post-fascismo- Rivolta di Calitri (29-9-1943) e Ferrara repubblichina, ESI, Napoli 2013, cap. I.
[14] Per inciso: la mozione di espulsione è presentata da Benito Mussolini, che gli vale l’ingresso nella direzione del Partito e, di lì a poco, nell’ottobre, la direzione dell’Avanti!
[15] Oreste Franza, anche per i rapporti personalizzati che coltiva, ha larga influenza sui socialisti di Ariano e dell’Alta Irpinia (Lacedonia, Rocchetta S. Antonio, Calitri), cui più tardi si accoderanno tanti socialisti di Solofra e alcuni di Avellino.
La parabola politica di Franza approderà prima a una lista eterogena di destra capeggiata da Petrillo alle elezioni politiche del 1921 e poi al fascismo, nel 1923, quando, prima di ritirarsi dalla scena politica, cederà ai fascisti arianesi il locale che per anni ha ospitato la sezione socialista.
[16] Cfr. “La riscossa del popolo”, 12 ottobre 1913.
[17] Da rilevare che Cianciulli risulta iscritto alla massoneria del Grande Oriente come apprendista dal 18 febbraio 1913 (nato il 17 aprile 1881, n. di matricola 41 688, loggia “Aurora” di Avellino; l’elenco cui attingiamo reca la data del 1923). L’iscrizione alla loggia Aurora è desunta dall’elenco dei massoni italiani fornitomi gentilmente da Gerardo Padula, studioso attento della massoneria, che in un raro momento della messa a disposizione della documentazione dell’archivio centrale del Grande Oriente ha potuto accedervi.
Come è noto, il Grande Oriente, liquidate le voci di dissenso interno alla vigilia dell’intervento in guerra, è fra le principali forze interventiste. Non sappiamo del dibattito politico interno che vi sarà stato nella loggia avellinese, ma è fuor di dubbio che Cianciulli, qualora fosse ancora fratello massone, per la sua storia politica e la sua coerenza etica, si sarebbe battuto per la neutralità più assoluta. Al riguardo, Mario Garofalo (Alle origini…, cit. p. 126n) avanza l’ipotesi che Cianciulli possa essere uscito dalla massoneria già dopo il congresso nazionale socialista di Ancona del 1914, in cui si sancisce l’incompatibilità della doppia appartenenza.
[18] Sulla solitudine politica e sullo scarto che c’è fra cultura politica alta e ricadute sul territorio (come ha annotato A. Marinari nella prefazione al saggio di M. Garofalo, Alle origini…, cit., p. 14) frequente è il grido di Cianciulli, sconsolato e impotente rispetto al quadro socio-economico e culturale di «creature umane senza pane, senza voto, senza coscienza, senza ideali». Per la limitata presenza organizzata in provincia, cfr. Il Congresso socialista della Campania, “Il Grido”, 1° gennaio 1915. Al Congresso nazionale di Ancona, tenutosi nell’aprile del precedente anno, le sezioni irpine rappresentate sono due: quella di Avellino e di Montella.
[19] Cfr. A fine anno, “Il Grido”,
[20] Cfr. “Il Grido”, passim in vari numeri del 1920 e del 1921. Nel caso di Lacedonia, il Prefetto annota il 5 febbraio 1923: «A Lacedonia, dove il partito Social-comunista non è mai riuscito a fare numerosi proseliti – si vuole che 27 siano stati gli iscritti al partito ufficiale, ora quasi tutti passati al fascio – due partiti politici, entrambi d’ordine, si contendono ora il potere Amministrativo, il Nazionalista e il Fascista». Cfr. ACS, PS 1922, b. 110, fasc.lo Avellino.