La donna, che capolavoro!

di RICCARDO SICA.

L’8 marzo, la “festa della donna”, nei dipinti di Ricca, Guarino, Perez

Sono stati i movimenti politici femminili di inizio Novecento a rivendicare i diritti delle donne e a dare origine alla “Festa della donna”. Se per alcuni anni la giornata delle donne è stata celebrata in date diverse nei vari Paesi del mondo, poi l’8 marzo è divenuta la data ufficiale più diffusa.

Oggi, in periodo di Covid, proprio mentre aumentano i crimini di femminicidio, “la festa della donna” ha forse perso un po’ del suo vigore iniziale. Ancora più forte, perciò, s’avverte la necessità che le organizzazioni femminili continuino a cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi di varia natura che riguardano il sesso femminile, come la violenza contro le donne e il divario salariale rispetto agli uomini. Ci sono, tuttavia, anche donne che considerano questa giornata come occasione di libertà e di svago per uscire da sole con le amiche, lasciando mariti, compagni e figli a casa, e concedersi qualche sfizio, altrimenti non permesso.

Quest’anno, in occasione della celebrazione della “Festa della donna”, di fronte al mai sconfitto fenomeno del femminicidio che sicuramente ci umilia e ci offende, ci piace contrapporre qualche immagine (appositamente scelta) di artistica esaltazione della bellezza e delle virtù delle donne che altrettanto sicuramente ci purificano e ci riscattano. Abbiamo scelto, infatti, quattro capolavori di donne, dipinte da Giovanni Ricca e Francesco Guarino, pittori del Seicento, e da Fabian Perez, artista argentino contemporaneo.

Saba, la donna dipinta da Franz Perez, èvista con gli occhi di chi è vissuto sempre nei locali notturni, con l’umore cupo, meditabondo e con la più pura sensualità e che sa, però, improvvisamente esplodere in una scena di spettacolare solarità: è raffigurata affacciata al balcone, incontro alla luce e alla vita. La splendente Saba al sole sfoggia tutta la sua bellezza dalle mille sfaccettature e la sua signorilità spirituale. Nei dipinti di Perez la donna non perde mai la sua dignità umana, estetica e morale, nonostante le apparenze talora disinvolte e superficiali. In questa gioiosa immagine di Saba al Sole è raffigurata una donna fiera della sua femminilità, orgogliosa del suo fascino e della sua sensualità; una donna intrigante, passionale, volitiva, determinata, ma mai sfacciata; una donna che non teme di mostrare le sue bellezze di attrazione fisica e le dimensioni sterminate della tenerezza e dell’amore di cui è capace. Dinanzi alla bellezza delle donne Perez (la cui madre gli morì quando egli aveva solo 16 anni) si emoziona: il romanticismo della sua pittura è quello che egli stesso definisce “emozionalismo”. “Dio ha creato il mondo e lo ha abbellito con le meraviglie della natura per cui io sono sempre alla ricerca di questa bellezza”, esclamò una volta l’artista, aggiungendo: “Vorrei dire che non è importante quello che hai, ma quanto ti piaccia” e “sono costantemente in lotta per un mondo più romantico. Quello in cui la donna e l’uomo hanno definito ruoli e poteri non è sempre obiettivo”.


Fabian Perez, Saba in the sun (Saba al sole), olio su tela

Anche nella pittura di Francesco Guarino, nostro conterraneo del Seicento, le giovani donne sono il tema centrale. Al pittore solofrano fu inizialmente attribuita la celebre Cantante (o Cantatrice), Museo di Capodimonte, Napoli, 1640 c.

La tela, che reca sul retro un’iscrizione con il nome di Benedetto Castellano, fu venduta da Benedetto Castellano al Real Museo Borbonico il 14 marzo 1855, per la cifra di 180 ducati, indicata come «Maddalena che si sguernisce degli ornamenti e delle ricche vestimenta, a mezza figura”. Fu assegnata dapprima al Ribera, sulla base di una citazione di Filangieri di Candida nella guida della Galleria Nazionale di Napoli del 1902. Fu poi assegnata a Pacecco De Rosa e a Francesco Guarino, indicata col titolo di Una giovinetta o Giovane santa da storici dell’arte della levatura di Roberto Longhi e di Ettore Sestieri.  Fu restituita alla fine al Cavallino. Assunse il titolo di Cantatrice nel 1954 quando Ferdinando Bologna per la prima volta la mise in relazione con la Suonatrice di clavicordo del Musée des Beaux-Arts di Lyon, che in origine ne sarebbe stato il pendant, con una datazione intorno al 1645 per affinità con la Santa Cecilia di Capodimonte: ipotesi, questa, accolta nel 1983 da Pierre Rosenberg.  Per Ann Percy (1965)” (Assunta Allocca).

Ripa, nel 1593, ipotizzò che il dipinto potesse alludere, in forma allegorica, alla Musica.

Oggi sembra prevalere la tesi che la Cantatrice stilisticamente sia legata al pittoricismo ‘neoveneto’ della prima maturità di Cavallino.L’ovale dipinto, che – come s’è detto- fa pendant con la Suonatrice di clavicordo, rivela, tra classicismo e ‘neovenetismo’, accentuati riferimenti a Simon Vouet, attivo anche a Napoli negli anni Quaranta.

Civettuola e naturale, l’immagine della giovinetta si volge verso chi le sta di fronte, mentre con delicatezza annoda, in punta di dita, un nastro colorato alla lunga treccia dei capelli: e- ciò che delizia e affascina- accenna a voce bassa il motivo di una dolce melodia. Ci sovvien la frase di Emily Dickinson:”“Sentirla è una musica”.




Francesco Guarino (o Bernardo Cavallino), attr., La Cantatrice, 1640 c., Museo Capodimonte, Napoli, dipinto ad olio, tela ellittica di asse maggiore, alta p. 2 e 4/10

Non è escluso che la tela possa essere uno degli esempi più alti della produzione cavalliniana in età matura, ma noi siamo profondamente convinti che sia una delle più sognanti e liriche immagini femminili mai dipinta di Francesco Guarino; comunque è uno dei capolavori più suggestivi di tutta la ritrattistica europea di metà Seicento.

Il pittore solofrano non si è mai stancato di esaltare nei suoi dipinti la bellezza e la virtù di “sante” ed “eroine” passate alla storia e alla leggenda. Ha rappresentato affascinanti “mezze figure” femminili nell’ambiente stanzionesco a Napoli in cui eccelse il pittore Vouet con tutta una serie di analoghe figure femminili. Ricordiamo l’indimenticabile S. Agata (1640 c.), che è alla Certosa di S. Martino a Napoli, un vero e proprio ritratto di cui l’intensità ritrattistica e la carica sentimentale travolgono l’iconografia religiosa fino ad annullarne ogni carattere di sacralità. Come abbiamo scritto altrove, “le incantevoli immagini di donne dipinte dal Guarino sanno esprimere una laicità elevata a pura poesia”. Quanta languida dolcezza in questa S. Agata che pur sta compiendo un gesto eroico! S. Agata affronta la morte con determinazione, fiera e sicura della giustezza della sua decisione, avvolta in preziose vesti seriche, dalle larghe e morbide pieghe. Si sa che talora ad ispirare l’artista fossero anche le «flessuose signorine napoletane del tempo con le loro fogge lussuose, fresche di seriche gale o pingui di velluti, che la luce coglie furtiva come fiori dalla notte» (Achille Della Ragione).


Francesco Guarino, S. Agata, Certosa di San Martino, Napoli, 1640
 

La medesima consapevolezza del valore della virtù e della bellezza della donna seppe esprimere Giovanni Ricca, pittore coetaneo del Guarino, in sapienti immagini, come in quest’aristocratica S. Caterina d’Alessandria (Torino, Palazzo Madama, Museo Civico d’Arte Antica).

Il fiero volto velato da malcelata malinconia, la pensosa e saettante direzione dello sguardo proiettato sullo spettatore, il solenne atteggiarsi vittorioso del corpo aggiungono accenti acuti di nobiltà d’animo alla sensazione visiva dell’incarnato plasmato con amore e compiacimento formale. In particolare Santa Caterina d’Alessandria del Ricca, con l’occhio ripreso in prospettiva frontale su un volto girato di tre quarti emergente dal buio più fondo in cui affoga ancora per metà,sfoggia un’irresistibile aura aristocratica, di classicheggiante manierismo: ella ostenta la sua fierezza sollevando in alto, e mostrandola come trofeo di guerra allo spettatore, la grossa spada che ricorda la spada con cui Giuditta in un celebre dipinto di Artemisia Gentileschi taglia la testa ad Oloferne. Nella manica del braccio, nel dipinto del Ricca, si dispiega, poi, tutta l’eleganza del manto rosso, d’un rosso sontuoso ed imponente, mentre gli effetti serici della camicia chiara, dai delicati guizzi di luce, rimandano alla grazia lussuosa della pittura inconfondibile di un Paolo Finoglio. Può dirsi che, osservando questi volti perfetti dipinti dal Guarino e dal Ricca, nelle forme levigate, delicate, vellutate, non cogli segno di indecisione o sofferenza, dolore o turbamento, che diresti umano, ma solo l’imperturbabilità dello spirito indomito, puro e virtuoso della donna. La soavità dei sentimenti corrisponde alla soavità delle sembianze fisiche. Le donne proposte sono pertanto immagini bellissime, seducenti, ammalianti, che operano il miracolo di diventare poesia, autentica poesia.

Giovanni Ricca, S. Caterina d’Alessandria, 1640,Torino, Palazzo Madama, Museo Civico d’Arte Antica
 

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