di EMILIA BERSABEA CIRILLO.
Voglio lamentarmi anche io del fatto che stiamo da un anno in casa e che abbiamo esaurito le energie. Che non c’è niente da stare allegri, se dopo un anno anche i vaccini a cui avevamo creduto, come la risoluzione al Covid, ci stanno tradendo e che tra scienziati veri e finti, giornalisti e politici continua un balletto di competenze e responsabilità che ci scoraggia. L’idea che mi sono fatta è che ci sono interessi economici in gioco talmente alti, che le vite mortali della gente che passa hanno ancor meno importanza di un flacone vuoto di vaccino.
In questo anno doloroso, in cui ho perso mio marito, dopo essere stata per quasi quarant’anni in sua compagnia, sto imparando la difficile arte del vivere da sola, del pensare e non comunicare, del dire a sé stessi e a nessun altro “Buongiorno” quando mi sveglio al mattino. Avevo sperato di poter sfuggire a questo stato, avevo progettato un viaggio, incursioni a casa di amiche lontane, un temporaneo trasferimento in un’altra città. Perché il dolore non ha equivalenti nella vita di una persona, non è come la felicità che tocca trasforma e passa, il dolore tocca, trasforma e resta, ti inchioda in quel favo, come un’ape che non sa uscirne, o seppure lo fa, ritorna comunque nel suo alveare, perché non saprebbe posare altrove il suo nettare.

Nel dolore il nettare sono i ricordi, che arrivano e ti lasciano, quelli sì, come un’onda, ma se il mare è in tempesta e l’onda è forte, puoi restare avvoltolato nella risacca, come un koala intrappolato in una recinzione, devi aspettare di essere liberato, per andare oltre, per sopravvivere. Solo che a liberarti, a prendere il fiato giusto, sei sempre e solo tu.
In questo anno terribile, in cui non mi sono mai lamentata, in cui ho fatto di tutto per farmi forza, aggrappandomi alle cose che amo, oltre ai figli, e cioè ai pochi affetti, alla scrittura e alla lettura, ho capito che cerco zattere, per mantenermi a galla e che agogno un approdo verso una terra accogliente, per poter ristabilire nuovi ordini.
Solo che tutto questo continua a mancare. Perché al mio personale dramma, se ne aggiunge amplificato uno pubblico, quel dover affrontare il quotidiano oscuro, armata con mascherine, guanti e amuchine. E’ quest’astruso coprirsi per difendersi da un nemico invisibile, infinitamente piccolo e potente, che mette alla prova corpi già fiaccati nello spirito.
L’anno scorso la parola che circolava come un mantra nei primi mesi della pandemia era” Andrà tutto bene”, ma bene come si vede non è andato se siamo ancora qui a scriverne. La parola di quest’anno 2021 è distanza, stai lontano da. Non si usa pertanto un futuro optativo, solo un imperativo categorico. Di stanza, termine militare, per definire colui che ha sede in una determinata città. In altri termini, siamo consegnati, in casa, ad Avellino, in Campania, in Italia.

Distanza: La lunghezza del tratto di linea retta (nell’ordinario spazio euclideo, altrimenti del tratto di geodetica) che congiunge due punti (e che s’identifica col concetto del minimo percorso tra questi), o, più genericamente, la lunghezza del percorso fra due luoghi, due oggetti, due persone (Treccani)
E allora rieccoci ad imbastire in queste giornate solitarie, dove una voce al telefono è una vanga che abbatte di poco l’invisibile muro del confino, abbozzi di esistenza che sembrano quelli di anacoreti inconsapevoli, dove la vita è solo quella della mente, di un pensiero che prova a restare vigile, di un’attesa che passa di mano, anzi che diventa infinita, inconsistente. Gli incontri sulle piattaforme online aiutano a non perdere il filo delle passioni. Meno male che ci sono, ma il nostro qui e ora restano le mura di casa e un panorama fisso, che vediamo ripetersi come una foto d’epoca infilata in una vecchia cornice.
Il nostro quotidiano è orizzonte senza abbracci, senza mani che si toccano, senza corpi che si incontrano. La distanza nega ogni fisicità. Gli incontri online manifestano sguardi spauriti, di gente che non è più abituata a guardarsi negli occhi.
Quando finirà questa pandemia saremo in grado di essere ancora quelli che eravamo, avremo ancora desideri, cercheremo di nuovo amici, avremo voglia di viaggiare, di fare progetti? Diventeremo ancora più egoisti, come bambini che sentono di aver subito un’ingiustizia e cercano una rivalsa a tutti i costi? In una parola che ne sarà della nostra vita?

Voglio lamentarmi, oggi. Portate pazienza. Può darsi che domani andrà tutto bene. Almeno lo spero.