Quando si supera la “misura del limite”. La sindrome del disorientamento della società di oggi

di RICCARDO SICA

II “risvegliato”.

Si risveglia con la violenza, l’uomo, ai primi tentativi di ”ripartenza“, dopo il momento clou dello scoppio della pandemia.

Mentre ha scioccato lo schiaffo in pieno viso dato tra la folla qualche giorno fa a Macron, il Presidente della Francia, fanno ancora scalpore i più recenti fatti di  violenza e sangue: l‘uccisione a sangue freddo, secondo un preciso piano criminale premeditato, di un genitore in pieno corso ad Avellino, in una città di provincia apparentemente tranquilla; l’uccisione con una coltellata di un diciassettenne a Formia; un’altra uccisione di in giovane nel cuore di Fondi; reati di violenza sessuale di gruppo e adescamento di minori commessi nel Savonese da  tre  ragazzi tra i 23 e i 24 anni e uno minorenne; le risse violente che si moltiplicano tra giovanissimi nel Sud; e si potrebbe continuare l’elenco all’infinito.

In un momento di malessere e smarrimento generale, aggravato dagli effetti devastanti prodotti dalla pandemia, i giovani vogliono comunicare con la società. Perciò manifestano l’intenzione di superare i limiti e di ricercare con la violenza, cieca, il loro posto nella società. In molti casi però, purtroppo, questo superamento dei limiti segnala l’avvio ad una carriera criminale.

Ugo Morelli opportunamente mette in risalto il sentimento di paura che in genere si prova dinanzi al superamento della misura del limite; e saggiamente invita a preservare il senso di questa misura.(Cfr. Ugo Morelli, La misura del limite, in “Blog Viagramsci.com”, luglio 7 . 2020).

Giovani e giovanissimi, purtroppo, superano molto spesso la “misura del limite anche quando si abbandonano ad attività ricreative non strutturate: sui social, sulweb, a partire dalla pagina Instagram, fanno girare messaggi e video che incitano agli assembramenti non autorizzati e alla violenza.

Generalmente prima, quando si parlava di violenza, si pensava immediatamente alla “violenza sulle donne”. Ma la violenza che si registra oggi non è solo quella sulle donne. E’ anche il “bullismo”, un’altra forma di violenza, che, però, occorre precisarlo, non è solo quello dei giovani ma anche quello dei genitori. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, all’Istituto Cerboni all’Isola d’Elba, tre anni fa, in occasione della cerimonia di inizio dell’anno scolastico, opportunamente osservava che ci sono “genitori che hanno aggredito gli insegnanti dei propri figli” e ha denunciato che questo è “un segnale di allarme grave, che non va sottovalutato”. “Non possiamo ignorare che qualcosa si è inceppato, che qualche tessuto è stato lacerato nella società”. Parlava di un bullismo che non è solo dei ragazzi. “I giovani corrono in avanti – osservava – ma gli adulti devono tenere il passo”.

Ora occorre riflettere.

Si ricorre alla violenza quando si sta psichicamente male, quando si sta vivendo uno stato di disagio difficilmente superabile.

 La società tutta oggi sta male. Soprattutto ora che ha subito i drammatici colpi inferti dal disastro della pandemia, dal coronavirus.

Ossessiva s’insinua la domanda senza risposta: come é possibile che giovani, come quelli protagonisti dei citati fatti di sangue, arrivino ad essere così violenti anche quando  hanno alle spalle genitori per bene?

Già prima, prima che esplodesse la pandemia, gli psichiatri dinanzi a fenomeni recenti di violenza parlavano di “sindrome del disorientamento della società di oggi”.

Ne era espressione, e ne è tuttora, innanzitutto lo sbandamento dei tantissimi giovani che si facevano sempre più aggressivi e violenti, frequentatori assidui degli unici attuali luoghi di ritrovo, i bar, i campi sportivi, i pub e i ristoranti dove si beve, le discoteche dove ci si droga (inutile nascondercelo!), tavole calde, pizzerie, birrerie, centri di foto-cinematografia, di teatro, quasi sempre luoghi di ritrovo a doppio fondo. Ne erano e ne sono ancora espressioni, poi, conseguentemente, la preoccupazione tardiva dei genitori; l’impotenza degli insegnanti; la sempre più scarsa frequentazione delle chiese, dei circoli culturali autentici luoghi di incontro e socializzazione sana e costruttiva; l’istituzione scolastica che versa in una sorta di sudditanza psicologica nei confronti di un quadro completamente disgregato della società aggregata.

Attenzione, allora: i luoghi di ritrovo per i giovani sono stati riaperti, dopo il lockdown: essi potrebbero essere ancora, e forse più, pericolosi rispetto a qualche anno fa, alla vigilia della pandemia.

In questa fase di incipiente “ripartenza“ si fanno più facili anche i pericolosi “luoghi comuni “ della gente che ignora la drammaticità che si nasconde in questi anomali fenomeni sociali: “così va oggi la scuola”, “così va la società oggi”, “ è una ragazzata”, etc. E si lascia correre.

Ma uno schiaffo in pieno volto sferrato al Capo di uno Stato o ad un docente in una scuola cittadina non si può far passare come una “goliardata”; e, alla stessa stregua, non si può lasciar passare lo stato di abbandono e di sfacelo in cui alcuni giovani lasciano una struttura pubblica (vedi ex GIL ad Avellino, p.e.) destinata peraltro ad essere luogo di ritrovo e di cultura proprio per loro (i quali invece vi lasciano sistematicamente in bella evidenza droga e siringhe), è atto di ostentata incoscienza, di intollerabile violenza, e non certo di episodica goliardia.

Gli esempi citati sono episodi non superficiali, su cui si deve sufficientemente riflettere.

MUNCH: L’URLO

Essi testimoniano che spesso oggi i giovani non si sentono più se stessi, e si sentono realizzati solo quando superano i limiti che neppure più in famiglia sono più avvertiti. I ragazzi superano questi limiti quando non avvertono più la percezione della distinzione tra il male e il bene. Quando, cioè, in loro è lo stordimento dell’apparato emotivo che innesca atteggiamenti oscillanti tra l’opacità dell’indifferenza e l’esaltazione della violenza che non si può rubricare tra le goliardie. Un atto di violenza è pur sempre un fatto di violenza, che va compreso ma mai giustificato, e che, pertanto, va condannato e, se il caso, punito. Esso, pertanto, non può essere fatto passare- anche da parte dei genitori e degli adulti – a volte come una goliardata. Socializzare oggi per i giovani significa creare bande, in cui si è accomunati dalla parola “noi”, che è prevaricante sugli “altri.” Non si può più lasciar correre: oggi la differenza fra il bene e il male non la si avverte più ed occorre, pertanto, far risaltare la distinzione tra i due termini opposti, se si vuole salvaguardare la compattezza di uno stato sociale solidale, moralmente sano. Sono finiti i tempi in cui la differenza tra l bene ed il male – come ci suggeriva Kant- la si avvertiva e capiva da sè, e non c’era bisogno di qualcuno che la spiegasse.

I giovani oggi hanno perso questa capacità di risonanza emotiva che fa avvertire ancora il male, distinguendolo dal bene. Tocca agli adulti ora, pertanto, intervenire ritrovando il loro senso di responsabilità e di guida. Il futuro di questi ragazzi è incerto: mettono a rischio la propria vita ogni giorno. I genitori dovrebbero seguire di più il proprio figlio, cercando di non farlo crescere prima del tempo, cercando di limitare l’uso del computer e della televisione, almeno fin quando non abbiano una maturità giusta da poter distinguere il bene dal male. Fondamentale è il ruolo dilla scuola e delle associazioni giovanili finalizzate al recupero del giovane. Queste associazioni possono dare, come in verità già fanno, uno scopo ai ragazzi, un’alternativa di vita, cercando di bussare alla loro porta prima che possano prenderle la strada del male. La Scuola è in prima linea nel prevenire situazioni di devianza  dei giovani, non solo in quanto luogo privilegiato ove percepire segni rivelatori di malessere fisico e psicologico, ma anche in quanto sede opportuna per insegnare loro ad avere consapevolezza di sé e del proprio valore e fiducia negli adulti, attraverso percorsi specifici di educazione all’affettività e alla sessualità. Gli operatori scolastici possono rilevare atti e carenze che turbano gravemente i bambini  è necessario imparare a leggere e riconoscere i segnali di malessere e a registrarli con accuratezza (attraverso corsi di formazione specifici), condividere le proprie valutazioni dapprima con il personale in servizio presso la scuola, poi con la rete degli esperti in grado di valutare i singoli casi.

Bisogna tener conto, tuttavia, che, quando i reati sono commessi da minorenni, la giustizia deve intervenire applicando il diritto penale minorile, il cui obiettivo è prima di tutto la risocializzazione e non la punizione.

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