di UGO MORELLI.

Una teoria che è divenuta ideologia
Per quanto possa apparire innovativa la prospettiva dell’economia comportamentale, soprattutto se paragonata al modello dell’homo oeconomicus rationalis della teoria economica neoclassica, e nonostante la sua disposizione a mutuare dalla psicologia supporti al proprio paradigma, essa rimane basata su un approccio individualista. Del resto, si sa che nelle poche esperienze di interdisciplinarità, vige la tendenza a privilegiare le prospettive più compatibili e meno compromettenti per salvaguardare lo statuto di una disciplina. Così l’economia comportamentale, che certamente non gode di grandi apprezzamenti nel mainstream dominante degli economisti, seppur riceve riconoscimenti a livello di premio Nobel, come è accaduto da ultimo a Richard Thaler, quando deve adottare i supporti delle scienze cognitive e della psicologia per cercare di far fronte a propri problemi paradigmatici, lo fa privilegiando il comportamentismo individualista e l’approccio computable.
Succede così che finisce per proporsi come una innovazione organizzativa, nella gestione dei rapporti di lavoro e delle motivazioni di chi lavora, l’intervento sui singoli lavoratori, basato su forme paternalistiche, accompagnate da invocazioni moralistiche e da “spinte gentili”, che spesso fanno leva su richieste di complicità, su ritocchi remunerativi e su forme più o meno velate di subordinazione psicologica o di allusioni e accenni ben celati di minacce.
In tempi di precarietà del lavoro, non solo per chi ha contratti a tempo, ma anche per chi ha un cosiddetto lavoro stabile, ma vive l’incertezza di avvisi notturni di licenziamento via whatsapp, non è difficile comprendere su quali dinamiche relazionali si fondino simili pratiche.
La spinta gentile o Nudge Theory propone che sostegni positivi e suggerimenti o aiuti indiretti possano influenzare i motivi e gli incentivi che stanno alla base delle decisioni degli individui, almeno con la stessa efficacia di prescrizioni, istruzioni e coercizioni dirette. L’azione è sull’individuo che, riprendendo un classico esempio utilizzato per parlare di spinta gentile, essendo maschio farà la pipì in un orinatoio senza spanderla se di posizionerà al centro della tazza un adesivo raffigurante una mosca.
Ancora una volta siamo di fronte a un modello di analisi basato sul maschio, medio, occidentale che gioca a carte da solo e agisce individualisticamente di fronte ai fenomeni del mondo. Rientra dalla finestra quello che si cercava di cacciare dalla porta, o forse era sempre stato lì.
Cos’è il lavoro?
Ma il lavoro, l’esperienza di lavoro, che cosa sono per noi esseri umani? In tempi di trasformazione profonda delle forme di lavoro, si può partire dagli aspetti elementari di quello che è un dato originario interno della vita e dell’esperienza di ogni essere umano?
Siamo esseri intersoggettivi e nell’intersoggettività ci individuiamo e componiamo e ricomponiamo noi stessi.
Viviamo di immaginazione, di senso e di significati. È perché attribuiamo significato a un’esperienza e a un fenomeno che lo conosciamo e agiamo di conseguenza. Non viviamo solo di pane ma anche di rose. A distinguerci non è l’agire immediato e pratico, ma il comportamento simbolico che compone ogni nostra scelta e azione.
Il nostro rapporto con i compiti è un rapporto creativo e non stiamo bene quando non possiamo metterci del nostro nel fare quello che facciamo, o quando non possiamo vivere il riconoscimento del ben fatto.
Siamo fatti per comporre e ricomporre in modi almeno in parte originali i repertori disponibili e nella routine facciamo di tutto per metterci del nostro.
Ci motiva la giustizia sociale e genera fiducia e affidabilità, quindi coinvolgimento e impegno.
Il lavoro è relazione intorno a un compito, da cui scaturiscono motivazione, senso e significato.
La stessa tecnica è strettamente antropologica e veicolo di riconoscimento e di valore.
La produttività e la qualità delle prestazioni lavorative sono connesse alla qualità relazionale nella vita organizzativa.
Perché?
Perché i datori di lavoro, i capi e chiunque abbia ruoli di responsabilità di sé e di almeno un altro nelle situazioni lavorative, non vede quante possibilità di motivazione, di coinvolgimento, di produttività, di climi organizzativi favorevoli e di qualità dei risultati vi siano in questo nostro modo di essere come umani? Perché ricorrono e ancora una volta ricorrono agli armamentari di una cattiva psicologia, o spontaneamente o sostenuti da azioni consulenziali e formative di stampo illusorio e prescrittivo, sempre quelle “del secolo”, proposte in lingua inglese, che ormai formano un vero e proprio dizionario o un’enciclopedia di ferrivecchi che spesso durano meno di una stagione?
Per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice ed è sbagliata. Può darsi che gli approcci e gli strumenti prevalenti siano tali da apparire semplici e risolutivi con poco impegno e, soprattutto, senza coinvolgere in un processo di cambiamento chi si propone di cambiare e motivare gli altri.
Sarebbe di particolare importanza analizzare i costi di quei modi di agire e di quello scelte.
Il modello individualista e liberista è penetrato nei gangli più intimi della vita lavorativa ed è diventato ideologia dominante. “Non riuscirai a capire le tesi di base della tua civiltà, se la tua civiltà se la tua civiltà è l’unica che conosci”, ha scritto A. Watts.
Limiti dell’utilità e fragilità della fiducia
La sconfitta dell’utilitarismo individualista rispetto alla sua stessa capacità di creare un ordine sociale ed economico basato sulla giustizia, sulla libertà e sul valore del limite, appare evidente all’inizio del terzo millennio, non per questo lo si mette in discussione. Questa sconfitta potrebbe consentire, a saperla vedere, di riconoscere la cesura e la negazione sulla quale si fonda l’economia della modernità e, per molti aspetti, l’intero progetto moderno. L’economia della modernità ha concepito ed espresso se stessa ponendo al centro l’utilità come frutto di scelte razionali e calcoli ottimizzanti. Ciò ha significato negare, mortificare, escludere quella dimensione costitutiva di ogni scambio e di ogni relazione, riguardante la fiducia, la solidarietà e la gratuità, trattandole nel migliore nei casi come residuali.
Ma sono residuali o, invece, essendo costitutive e ineliminabili, sono state trattate come tali in ragione della specializzazione verticale del progetto moderno? E che cosa ha perduto il progetto moderno con questa opzione che è divenuta forma a dominanza nel modello di sviluppo occidentale proposto e imposto all’intero pianeta? (A Sen, Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano 2001).

Mentre appare necessario un attento lavoro di analisi per documentare le ragioni che hanno portato alla prevalenza e alla prevaricazione dell’utilitarismo individualista come forma unica, e a trattare come residuale la fiducia, la gratuità e la solidarietà, se non si accetta l’imposizione del moto retrogrado del vero, è possibile pensare che, ciò che è andato in un certo modo, poteva andare diversamente. E’ così che le forme di vita organizzate e la loro gestione interna si trovano ad affrontare due limiti decisivi:
– il limite di concepirsi solo come mercato nella sua forma utilitaristica, anche nella gestione delle relazioni interne alle organizzazioni;
– il limite dell’altro e delle relazioni, unica vera possibilità, che, escluso dal modello di sviluppo occidentale, preme alle sue porte, così come l’altro vicino ed escluso premeva e preme dall’interno, chiedendo la ricerca di una forma di vita che sappia accogliere il limite come valore.
L’incompletezza dei sistemi e dello scambio basato sulla domanda e sull’offerta lasciano continuamente emergere il valore delle relazioni fiduciarie e delle forme di solidarietà.
Una possibile via d’uscita dalla crisi strutturale e storica dei modelli di sviluppo occidentali può derivare dall’emancipazione dalla specializzazione che ha visto prevalere istituzioni e processi che non hanno considerato il valore del limite e il ruolo della solidarietà e della cooperazione se non come istanze residuali; che non hanno considerato cioè il valore della fiducia e della gratuità come condizioni per la stessa efficacia detto scambio (A. Hirschman, Lealtà. Defezione. Protesta, Bompiani, Milano 1970).
Accordi impliciti, pratiche sociali e ruolo della fiducia
Le pratiche sociali si reggono per la maggior parte su accordi impliciti. Solo una parte di questi ultimi viene ricondotta ad esplicite giustificazioni razionali. Ciò che ognuno si aspetta dalla comunità in cui vive ha a che fare col sentimento di appartenenza e di reciproco riconoscimento presente ad un momento dato in quella comunità. Sono infatti le aspettative ad alimentare, tra l’altro, le motivazioni ad investire in cooperazione e impegno. (C. Bicchieri, Azione collettiva e razionalità sociale, Feltrinelli, Milano 1993).
Alla base delle aspettative e degli orientamenti ad affidare parte di un progetto personale ad una comunità, agisce uno dei più fragili e potenti processi di influenza sociale: la fiducia. Le sue ragioni storiche, affettive e cognitive, come carattere distintivo degli accordi sociali soprattutto impliciti, ma anche espliciti, ne fanno uno dei più impegnativi e complessi fenomeni sociali.
Le stesse giustificazioni razionali per assurgere a regole condivise e localmente valide hanno bisogno del sostegno della fiducia, anche per cercare di evitare gli effetti indesiderati del rumore (A. Axelrod, Giochi di reciprocità. L’insorgenza della cooperazione, Feltrinelli, Milano 1984. D. Kahneman, O. Sibony, C. R. Sunstein, Rumore, Utet, Torino 2021).

Da tempo è ormai nota la complessità delle implicazioni economiche dell’incompletezza e dell’asimmetria informativa fra gli attori nelle transazioni economiche. Incompletezza e asimmetria segnalano i limiti dell’equilibrio come principio regolatore e aprono spazio al riconoscimento dell’apprendimento per far fronte non solo all’incertezza di ogni relazione e di ogni scambio, ma anche come risposta ai limiti di linearità e razionalità. In verità non è che l’apprendimento sia una risposta a qualcosa: è costitutivo delle forme che le relazioni collaborative assumono, stante i caratteri peculiari e costitutivi della incompletezza, dell’asimmetria e dei limiti della razionalità. Il gioco collaborativo a livello socio-economico e istituzionale non sembra, a queste condizioni, riconducibile al solo calcolo, né tanto meno tendente spontaneamente all’equilibrio. (M. Diani, Capitale sociale, partecipazione associativa e fiducia istituzionale, in Rivista Italiana di Scienza Politica, 3, 2000)
La sua pratica non è comprensibile né agibile se non si fa riferimento a risorse che si generano nelle relazioni e che gli attori esprimono, per nulla marginali o secondarie, come le aspettative che alimentano i giochi di reciprocità e la fiducia che ne rende attendibile lo svolgimento. (A. O. Hirschman, Felicità privata e felicità pubblica, Il Mulino, Bologna 1982).
Aspettative, coordinamento e reciprocità
L’utilitarismo individualista come regolatore unico delle relazioni lavorative, dello scambio e del legame sociale ha limiti intrinseci.
Questi ultimi riguardano:
– l’incompletezza e l’asimmetria delle informazioni che, come è noto, non sono affatto disponibili in modo omogeneo né tanto meno sono esaustive generando incertezze costitutive nelle situazioni di scelta;
– i limiti della razionalità alla base delle scelte individuali e collettive e il ruolo delle passioni, delle emozioni e dei sentimenti;
– l’incompletezza dei sistemi costruiti dalle dinamiche sociali e, in primo luogo, il problema del rapporto fra appartenenza e cambiamento;
– i fallimenti del mercato derivanti dall’applicazione della logica del puro prezzo come fattore di regolazione;
– i limiti dell’organizzazione riconducibili all’ambiguità costitutiva dei giochi di reciprocità e alla fragilità dei processi fiduciari propri del loro svolgimento.
Per queste ed altre ragioni la collaborazione basata sulla valorizzazione delle relazioni non può ridursi o essere ridotta ad una forma residuale, particolare, “diversa” e specialistica. Essa è alla base di ogni situazione, emergenza, istituzione, originate dal legame sociale. Non rappresenta un meccanismo di compensazione, ma è un processo costitutivo che non ha nulla di speciale: può essere valorizzata fino a divenire capace di rispondere ad aspettative evolute sostenendo giochi di reciprocità avanzati.
E’ il collegamento che si stabilisce fra le forme fiduciarie e collaborative diffuse nello scambio sociale e la vita nelle organizzazioni, che può rendere queste ultime capaci di rappresentare le prime.

Interesse, partecipazione e libertà
E’ tutta da comprendere la ragione per cui il paradigma dominante dell’economia abbia posto al centro le categorie di “homo oeconomicus” e di “razionalità olimpica e lineare”; ma in particolare la ragione della schiacciante prevalenza attribuita all’ interesse” in quanto motore dell’agire umano.
Emerge così il riduzionismo dell’economia standard che si fonda sull’ignoranza dei caratteri distintivi di quello stesso individuo che pone alla base della propria analisi. Se le persone sono viste soltanto come passive localizzazioni dette proprie utilità, esse non emergono per la loro ricchezza ma sembrano dei serbatoi di interessi e delle macchine da calcolo.
E’ la nozione di capability e di ricerca delle condizioni per le sviluppo delle capacità relazionali e intersoggettive, e in particolare delle opportunità di libertà, a divenire rilevante.
Lo sviluppo umano non dipende tanto dalla nozione di uguaglianza di risorse, quanto dalla disponibilità o meno di concrete opportunità. E’ l’eguaglianza di capacità, e soprattutto l’eguaglianza di libertà positiva disponibili che dà luogo ad un insieme di realizzazioni che gli individui hanno l’effettivo potere di mettere in atto. Lo stesso sviluppo economico è perciò un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani.
Fra interesse, partecipazione e libertà vi è perciò un’interdipendenza che non pone quei fattori affatto in alternativa.
Le vie della collaborazione hanno a che fare con l’incremento di partecipazione e libertà, con l’aumento delle capacità individuali di valorizzazione delle opportunità disponibili e, quindi, con la cura degli interessi. Gli stessi trasferimenti e calcoli sono anch’essi relativi alla presenza e alla diffusione della fiducia.