di UGO MORELLI.

Alcuni potrebbero, da ingenui e benpensanti – non per questo non rispettabili – pensare che quell’espressione, lasciata cadere con un ammiccamento labiale appena appena accennato, e una disposizione del viso volta ad accettare l’imponderabile, si riferisca al sano e mai abbastanza celebrato esercizio del dubbio. Ora, non è che nella terra dell’inconsapevole residuo delle tracce ellenistiche non alberghi la tendenza a dubitare. Né ci si esime, a ragione, dal dubitar di tutto, tra malcelata invidia e saggia diffidenza. Anzi: c’è persino chi si attribuisce la patente di diretto discendente della Magna Grecia, non si sa se risuonando con le proprie azioni più con la prima o con la seconda parola. I tradimenti non sono stati pochi, né mancano e né tantomeno sono mancati gli imbrogli, privati, e soprattutto pubblici. Vi sono attendibili ragioni per ritenere però che quando uno usa quell’espressione, nun s’ po’ mai sape’, non è al dubbio che stia pensando. Non ci si sta verosimilmente appellando a quella ormai rara abitudine che è sale della terra, in tempi di pensiero portato all’ammasso clientelar-populista, , di dubitare per conoscere, di mettere in discussione per cercare di capire meglio. No, sarebbe attendersi troppo.
Neppure si sta pensando al sano esercizio di riconoscimento dell’incertezza. Quella sottile e sana distinzione sarebbe oggi quanto mai opportuna. Non solo perché di incertezza si vive, ma anche perché dall’incertezza riconosciuta potrebbe nascere qualcosa di nuovo, cosa che è più impossibile che rara da queste parti. Nun s’ po’ mai sape’, come potrebbe avere a che fare con l’incertezza, in un mondo che si consegna così avidamente al conformismo appagante ed epicureo? Dove la discontinuità che potrebbe cambiare le cose non si innesca. I tepori soporiferi dell’indifferenza e del conformismo intervengono prima. Né l’incertezza riesce a suscitare curiosità, ma solo vie per tamponarla, ricorrendo a chi può compensare con raccomandazioni e favori i momenti di difficoltà. Per i compensatori di mestiere l’incertezza è una manna. Offre a loro continue opportunità per esercitare quella che forse è una funzione regolativa e elargitiva della vita sociale della maggioranza delle persone e delle famiglie. Tanto che una competenza specifica dei compensatori e elargitori di favori è proprio quella di crearla l’incertezza, laddove non bastasse quella che c’è.
Nun s’ po’ mai sape’, non consente di pensare al profilo dello scettico. A quel singolare stile o personaggio che pure si aggira nei paraggi, di tanto in tanto, ma che finisce molto presto per divenire lo strano, quello che si ascolta come il grillo parlante. Che non si schiaccia. Perché qui esiste un modo più sottile di rendere innocue le differenze: le si neutralizza facendole diventare vuote a suon di ripetizione. Dopo un po’ lo scettico diventa utile per le infinite chiacchierate giornaliere e soprattutto domenicali davanti a un bar. Ed eccolo annullato.
Né si può ricondurre quel nun s’ po’ mai sape’, all’atteggiamento di fronte a una ricerca dagli esiti imprevedibili, laddove la sospensione del giudizio è d’obbligo ancorché salutare. Semplicemente perché la forza dell’abitudine è così pervasiva da non lasciare spazio alla curiosità, che non sia quella del pettegolezzo come pratica “filosofica” sistematica. E poi si sa già tutto di tutto, sia da parte di chi ha opinioni certe su ogni questione, sia da parte dei pochi che qualche libro l’hanno pur frettolosamente annusato.
E allora cosa rimane come marcatore di quell’espressione che pure si usa spesso e volentieri? Cosa intende chi la usa? Cosa gli passa per la testa?
Con certezza, chi può dirlo.
Ad ogni osservazione e ascolto delle situazioni in cui si usa, e pur con la cautela del caso, sfruttando le circostanze per analizzare la cosa, particolarmente favorevoli in tempi di elezioni, parrebbe di poter dire che nun s’ po’ mai sape’ significhi, in fondo in fondo, qualcosa di molto vicino a quel fenomeno che si suole chiamare opportunità e che meglio è definito dalla parola opportunismo, per cui stare a vedere da che parte tira il vento per seguirne la direzione è sempre la cosa più conveniente. Nun s’ po’ mai sape’ come va a finire e allora perché prendere posizione se si può aspettare di capire da che parte stare e sfruttare così la situazione? La sottigliezza della distinzione tra opportunità e opportunismo è, qui, roba per filosofi, o per “filosoc”, come con disprezzo sono chiamati.
In fondo, tra uno schiaffo e una carezza è questione di velocità.