Verso l’universalizzazione globale. Il ruolo svolto da Vincenzo Volpe  

ORIENTE E OCCIDENTE OGGI:REALTA’ E PROSPETTIVE

di RICCARDO SICA.

Tra l’ Ottocento e il Novecento l’apertura dell’Europa verso l’Oriente determinò importanti novità nel campo artistico: cominciò a formarsi l’immagine di un Oriente misterioso e lontano, dove la rappresentazione della donna seguì a lungo stereotipi esotici fortemente eroticizzati.

Il maestro irpino Vincenzo Volpe, in un Ritratto di donna araba“(recensito recentemente su queste stesse colonne), seppe offrirci una simbiotica poetica visione dell’Oriente e dell’Occidente felicemente conviventi. L’artista, si sa, trattò ampiamente la “tematica orientalista” in una produzione di opere che sono, però, tuttora ancora poco conosciute dal grosso pubblico.

Negli occhi umidi, quasi allucinati della giovane Donna araba, con copricapo ed abbigliamento orientale, l’autore espresse tutto il mistero della civiltà araba, e, contemporaneamente, nell’aspetto della fanciulla anche l’eleganza e la signorilità della civiltà occidentale.

Vincenzo Volpe, Donna araba, olio su tela, 1890/1895 circa, cm 71 x 60, VIMARTE

Nella striscia di nero sullo sfondo, in alto, rappresentò il mistero dell’Oriente.

Nel giallo-ocra da giada, soffuso sulla stoffa dell’abito e sulla tela nuda, espresse il colore e il calore, la morbidezza della sabbia del deserto e il fascino arcano d’un’antichissima terra ancora tutta da esplorare.

Nell’ornamento della collana perlacea e dei preziosi filamenti d’oro (flash di luce che scendono tra i capelli nerissimi) la sontuosità aristocratica che illumina il volto della misteriosa fanciulla, che non sai se sia più occidentale o più orientale. 

Nel candore del bianco cuscino di lana (soffice nuvola dietro le spalle, simbolo di morbose comodità e di sensuali godimenti occidentali) si scioglie la macchia nera dei capelli che come fiotto d’acqua s’insinua nelle anfrattuosità di un lastrone di ghiaccio in cui affonda, anzi sprofonda, il viso porcellanato della giovane dallo sguardo fisso in avanti, stralunata, pensosa, persa nei suoi pensieri. S’è incantata!..La sveglia il sussulto di quello squillo di bianco biaccato sul petto che è luce splendente che richiama il fulmineo bagliore negli occhi, umidi di pianto, nonchè sulla corona di perle della collana e nei leggerissimi, flessuosi filamenti d’oro svolazzanti tra i neri capelli. Il piccolo dipinto suscita in noi la visione più intensa dell’Oriente, dell’Arabia, con i suoi sapori e i suoi colori, con le sue suggestioni emotive e i suoi incantesimi, come un altrove fascinoso rispetto all’Occidente, il cui spazio e cultura sono visti come mondo esotico e misterioso.

L’Oriente come costruzione mentale dell’Europa è sempre stato individuato e visto come un territorio misterioso e lontanissimo, antico e selvaggio ed ebbe confini geografici assai labili, che gli europei hanno spinto sempre più lontano con il procedere delle nuove scoperte geografiche e rotte commerciali. Il termine Oriente, che spesso includeva la visione di tutto ciò che è diverso ed esotico, poteva indicare la Turchia, così come il Marocco, l’Egitto, fino alla Siria o alla Cina.

L’indissolubile binomio di Oriente e Occidente che risulta dal dipinto citato di Vincenzo Volpe è un’identità pittorica assoluta, inedita, in cui – occorre dirlo – è ben lontana l’eco della situazione dell’Arabia come realtàprofondamente distopica e come società ossimorica in cui convivono da un lato tecnologie di ultima generazione e consumismo e, dall’altro, violazioni dei diritti umani, quali l’indipendenza e la libertà della donna.

Il primitivo e selvaggio Oriente prodigiosamente rinasce a partire dall’Ottocento grazie all’arte in un clima di moderna occidentalità: rinasce, per esempio, nell’immagine del volto della donna araba nuda che appare nel quadro di Jean-Léon Gérôme, Il mercato delle schiave (1866 circa, olio su tela, 84,3 x 63 cm, Williamstown, Sterling and Francine Clark Art Institute), dipinto qualche decennio prima rispetto al ritratto già menzionato di Volpe. Quasi certamente il maestro irpino conobbe il dipinto in questione di Jean-Léon Gérôme e si fece influenzare.  

Jean-Léon Gérôme, partic.  Il mercato delle schiave (1866 circa. olio su tela, 84,3 x 63 cm, Williamstown, Sterling and Francine Clark Art Institute).

Anche questa fanciulla raffigurata da Jean-Léon Gérôme rivela una sua dignità umana, anche se umiliata e denudata, ridotta a oggetto di piacere a disposizione dell’acquirente. Sicchè, alla fine, il dipinto s’evidenzia come una prodigiosa visione pittorica dell’illusione d’una possibile fusione delle due civiltà contrapposte, quella occidentale e quella orientale.

Jean-Léon Gérôme, partic.  Il mercato delle schiave (1866 circa. olio su tela, 84,3 x 63 cm, Williamstown, Sterling and Francine Clark Art Institute).
 

Crediamo che i pittori nell’Ottocento abbiano voluto dipingere le bellezze e il mistero della donna orientale non semplicemente per adeguarsi ad una tendenza di moda a quei tempi, ma per prendere, in piena coscienza, deliberata posizione a favore di un mondo fino ad allora considerato inferiore a quello nostro, occidentale, e per evidenziarne il valore, i pregi, e, soprattutto, la intrinseca, ineguagliabile bellezza. Ne offre valido esempio, a nostro giudizio, Domenico Morelli, famoso per la sua predilezione per i soggetti arabi (vedi p.e. Arabo Ebro, Arabo seduto, Cantore arabo,etc.). Alla stessa stregua ne offre altrettanto valido esempio Vincenzo Volpe che dipinse ripetutamente figure di arabi e arabe come Un arabo della “Rue du Caire” (acquerello dal vero) presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 e conservato nel Palazzo del Governo di Napoli, o Arabo, Napoli 1911, Pensatore arabo, coll. priv. Avellino, Profilo di donna araba, Buenos Aires, e altre opere passate anche per le case d’Asta. Sintomaticamente rivelatore della volontà di riscatto e di emancipazione della donna in generale, ed orientale in particolare, è La belle Sulamite, un pastello misto eseguito nell’ultimo periodo della attività di Volpe: il personaggio fu interpretato, quale protagonista, da Gloria Swanson nel l’omonimo film drammatico americano di grande successo negli anni venti.

A differenza dei dipinti orientali del Morelli, tuttavia, caratterizzati da un tono tipicamente romantico, dall’interesse psicologico e letterario del soggetto e dalla ricerca di effetti drammatici, talvolta teatrali, questo ammaliante, dolce, delizioso dipinto di Vincenzo Volpe rappresenta invece una visione pittorica serena, riposante, romantica, avvolta in un alone di suggestiva atmosfericità: nella sua oniricità ci invita a riflettere, a ricordare, ad evocare indicibili atmosfere d’Oriente. Ci invita a sognare…  

Quando le terre d’Oriente, anche le più remote, hanno smesso di essere irraggiungibili per aprirsi ai viaggiatori occidentali, la percezione europea trasfigurata da miti e preconcetti era talmente consolidata che ancora nel XIX e XX secolo permaneva una visione dell’Oriente da favola. Oggi è anche vero che la globalizzazione tra Oriente ed Occidente ha fatto sì che le differenze si stiano assottigliando e che i due universi culturali si stiano avvicinando. La vita degli occidentali appare di fatto più frenetica rispetto a quella degli orientali. Si può definire mentalità efficientista quella occidentale, tutta volta ad una sorta di subdola competizione. Comportamenti, credenze religiose e valori sociali sono tuttavia ancora sostanzialmente diversi. Le differenze fondamentali sono riassunte efficacemente in queste parole di Jacopo Suggi: “In Oriente prevalgono ragionamenti di tipo deduttivo, osservatore e spirituale, mentre in Occidente prevalgono quelli di tipo analitico, oggettivo, induttivo, materiale e concettuale. Anche i modi di vedere la realtà sono diversi. In Occidente si tende a studiare la psiche utilizzando un metodo esatto, una scienza: la psicologia. L’Oriente è diverso, in quanto vede l’uomo come composto da corpo e spirito, che, nell’insieme, costituiscono la psiche. Le culture occidentali ed orientali, di fatto, si scontrano spesso per modo di pensare e vivere. “Una delle più assodate teorie psicologiche definisce gli occidentali come una cultura individualista, orientata verso il singolo e le sue aspirazioni; al contrario, la cultura occidentale è definita collettivista: il benessere della comunità si antepone alle aspirazioni del singolo. Cultura individualista e cultura collettivista sono solo i due poli delle molte differenze che dividono occidentali ed orientali” illustra lo psicologo statunitense Richard Nisbett. In Oriente domina il concetto di un tempo ciclico, di una storia cosmica a ritmi ciclici, nel continuo ritorno di una età dell’oro. “L’universo passa e ripassa successivamente sulle stesse orbite in un lento ruotare eterno, attraverso processi di dissoluzione e di rigenerazione che coprono milioni di anni”. Nel pensiero orientale è possibile riscontrare elementi che indicano possibilità umane non compiute dall’Occidente, e che quindi possono fornire elementi di integrazione ed ampliamento del nostro modo di pensare. Le religioni orientali spingono a diventare pienamente consapevoli dell’unità e della interconnessione reciproca di tutte le cose, di trascendere la nozione di sé come individuo singolo e di identificarsi con la realtà ultima. Il raggiungimento di questa consapevolezza è chiamato illuminazione, non solo è un atto intellettuale ma un’esperienza che coinvolge l’intera persona, ed è fondamentalmente di natura religiosa”(Jacopo Suggi, L’Oriente immaginato. L’eros nella pittura italiana dell’Ottocento, in “Finestre sull’Arte” , 13, 02, 2022. Una delle differenze più grandi tra oriente e occidente si gioca nella morale. Un manuale scolastico riporta che “la filosofia greca e la religione giudaico-cristiana sono stati i due capisaldi della tradizione occidentale: la prima ha operato inaugurando una logica disgiuntiva che ha separato il mondo del Cielo, sede d’ogni valore, da quello della Terra, dove la materia è causa d’ogni involuzione e impedimento; la seconda si è inserita con i propri dogmi creando un dualismo cosmico”. Il mondo occidentale ha la sua unità in questa eredità, nel Cristianesimo e nelle antiche civiltà della Grecia, di Roma e d’Israele, alle quali, attraverso duemila anni di Cristianesimo, si riconduce la propria origine.

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