A TREMARE NON FU SOLO LA TERRA…E SI SPEZZÒ LA CAPACITÀ DI SOGNARE

21 agosto 1962 – 21 agosto 2022

di Ugo Morelli

Ma perché nessuno se ne ricorda? Forse è proprio in questa domanda la spiegazione. Se esiste, come esiste, un rapporto stretto tra memoria e sogno, la sistematica rimozione di quella che fu la frattura del terremoto dell’agosto 1962 andrebbe analizzata con maggiore attenzione. Fu allora che si determinò l’inizio della metamorfosi antropologica delle comunità irpine. Una metamorfosi la cui portata deve ancora essere studiata, che fa impallidire le pur terribili violazioni del paesaggio, le orribili soluzioni urbanistiche e lo scempio economico, che presero il via e cambiarono per sempre il mondo. Non era un mondo caratterizzato dalla giustizia, da un livello seppur minimo di qualità della vita, se non per una minoranza di privilegiati che sfruttavano braccianti, servi e indigenti. Era un mondo in cui dominava l’usura e la chiesa dettava una morale fondata sulla paura. Si potevano curare solo i ricchi e sia nei paesi che nelle campagne, per ragioni diverse, la vita era difficile. L’analfabetismo era molto diffuso e l’ignoranza era utilizzata dai soliti noti per gestire potere, persone e cose. Nelle campagne il lavoro era basato quasi esclusivamente sull’energia animale, di buoi, somari e umani. Spesso i primi due erano considerati più dei terzi. A tutti gli effetti non era un mondo desiderabile.

Eppure.

L’immagine prima di quella sera del 21 agosto 1962 è quella di mio padre che si sta infilando una camicia pulita sulla canottiera, mentre torna dal pozzo dove si era lavato dopo un giorno trascorso a raccogliere le patate. Ogni raccolto per quanto povero generava speranze, soddisfazione per il ben fatto e piccoli progetti di futuro. Quando la terra sobbalzò e rovesciò la prospettiva, con un sibilo che sembrò provenire dalle sue viscere più profonde, sentimmo che nelle menti qualcosa non sarebbe stata mai più come prima.

E così fu.

Cademmo dalla padella nella brace. Emerse da quel mondo una vera e propria mutazione, una nuova inedita semiosfera. Prese le parole, i linguaggi, le carte e le scelte. Si cominciò a parlare di cose mai sentite né dette. Si fece avanti una nuova specie di individui che si affiancarono ai dominatori di sempre e sovrapposero a una miseria soprattutto materiale una ben più grave miseria, quella simbolica. Oggetti e merci mai viste, case e forme dei paesi e dell’abitare, negozi e modi di vestire, invasero l’immaginario e generarono una metamorfosi che avrebbe preparato il terreno al grande sacco che diciotto anni dopo, con il terremoto del 1980, avrebbe creato l’invivibile mondo attuale in Irpinia, un mondo modernizzato senza sviluppo.

La frattura più grave, la rottura di faglia, che si produsse, però, fu quella del sogno.

Un indicatore che spiega il presente. L’Irpinia è oggi un insieme di comunità che non sono capaci di sognare. Siamo sempre impegnati nel sognare, sia quando siamo svegli che quando dormiamo. Sogniamo ad occhi a aperti e nel sonno. L’incapacità di sognare e, quindi, di sognarsi, è la principale conseguenza di una saturazione del brutto, del consumo come unico motivo esistenziale, della raccomandazione come via per affermarsi o ottenere quello che spetterebbe per diritto, dello scempio e dell’incuria del territorio, dell’abbandono delle campagne, del malaffare diffuso, delle istituzioni occupate dai soliti noti e dai loro eredi, dell’espulsione delle menti migliori per assenza di opportunità.

I pensieri sognati sono la base per trasformarli in pensieri agiti.

Così come ognuno di noi esiste in quanto sognato da qualcuno, l’Irpinia attende di essere sognata per uscire dalla notte che dura da sessant’anni.

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