di Carlo Crescitelli.
C’è un luogo dell’anima, dappertutto uguale e immutabile, negli anni come negli sguardi e nelle espressioni dei suoi abitanti. Un luogo che li riunisce e li supera tutti, perché di tutti rispecchia la storia, oltre e prima che la geografia. Un luogo che conosci da sempre ma che ancora non smette di sorprenderti; forse perché ti conosce assai meglio di quanto tu non conosca lui. Sfido: ti ha visto crescere! E con buona probabilità ti rivedrà assai più spesso, quando sarai vecchio. Quel luogo è il mio/il tuo/il suo/il nostro/il vostro/il loro paese.
Che tu lo ignori, lo odi, lo lasci, lo desideri o cerchi di cambiarlo, lui è sempre là, ma al tempo stesso riesce sempre a sfuggirti; forse perché intanto lui, sotto sotto, senza che tu te ne accorgessi, nel frattempo è già cambiato più velocemente di te. Chissà.
Però, chi l’avrebbe mai detto. Che un giorno sarebbe diventato uno dei tuoi punti di riferimento. Certo, non il solo, per carità, ci mancherebbe altro; ma resta uno di quelli. Finite le esplorazioni cosmiche, crollati i muri, dissolti i blocchi, aperte le frontiere e mischiate le razze ed i popoli, paradossalmente chi ha resistito meglio a tutti questi vorticosi mutamenti di orizzonti è stato proprio lui, che ospita adesso gente nuova con desideri vecchi. E lo sai perché? Perché le periferie del mondo alla fine sono tutte uguali, come sempre lo stesso resta l’eterno travaglio dell’umanità. E di questo a maggior ragione ti rendi conto nel momento in cui non c’è più un centro univoco cui modellarsi. Solo tante periferie, milioni di periferie una di seguito all’altra lungo tutto il globo terrestre, e nessun centro da circondare ed al quale ispirarsi.
Personalmente non ci volevo credere, né all’una né agli altri. Né a quella stranissima fantascienza cyberpunk steampunk postpunk con i suoi variopinti scenari di società multietniche, né ai viaggi che cammini cammini cammini per arrivare in capo al mondo se non proprio in cxxo al mondo e cosa trovi? Le stesse faccine e gli stessi sogni che partendo avevi lasciato. E tutti che ti guardano ammirati e ti fanno: ma perché sei venuto da così lontano? Come se il tuo solo arrivo, la tua sola presenza, potesse in un attimo regalare un senso prezioso alla memorabile giornata in cui tu sei capitato per caso da quelle parti. E te ne saranno ben grati, lo sai. Non dirmi che non la conosci, questa loro emozione, perché l’hai provata e la provi anche tu, quando sei tu ad essere a casa tua a tua volta, e all’improvviso ti piomba lì un forestiero e… tu non capisci bene i suoi perché, ma saranno sicuramente qualcosa di molto importante, no? Al punto da spingerti a mandare gioiosamente all’aria una bella fetta della tua noiosa giornata, per condividere qualche suo strampalato progetto; e dài, non mentire, che l’hai fatto anche tu, proprio come loro l’avevano già fatto altrove con te…
E così, mi son dovuto ricredere. Prima riconoscendo che terra e campagna sono sempre quelle ovunque, poi finalmente ammettendo che sì, tutto il mondo è paese. Tanto più quando il mondo l’hai visto un po’ per davvero, e alla fine scopri che anzi in paese, volendo, può starci un po’ tutto il tuo mondo.
Basta tu sappia come farcelo entrare.