REALISMO POETICO DEL TEMPO ULTIMO

di UGO MORELLI.

Claudio Piersanti, Ogni rancore è spento, Rizzoli, Milano 2023

È stato solo in seguito alla lettura di alcuni dei libri di Claudio Piersanti e, in particolare di quest’ultimo, Ogni rancore è spento, [Rizzoli, Milano 2023], che mi ha raggiunto la sensazione che quella di Piersanti sia una scrittura parlata. Non in presenza. Come se ci parlasse non da lontano, ma da un’altra stanza, per il suo starsene, in fondo, appartato, le sue incursioni raggiungono l’intensità di una particolare poetica del presente e di un poderoso pugno nello stomaco. Leggére, di una singolare leggerezza, le frasi che dipingono un presente reale e incombente, rispecchiano le nostre vite in modi allo stesso tempo inattesi e confidenti. Non sono però per nulla innocenti quelle frasi essenziali e passate al setaccio, mentre riescono a insinuare, nei mondi interni di chi legge, i personaggi. Al punto che sarà poi difficile non sentirsi il Lorenzo di questo ultimo libro, in non pochi momenti e situazioni della propria vita, così come non si esce da Luisa, di Luisa e il silenzio, [ristampato di recente da Rizzoli], ogni volta che col silenzio cercato, atteso, temuto o subito ci si trova a fare i conti. La lettura a voce alta ha una particolare capacità di coinvolgimento e qui è l’autore che ti legge il libro, per la peculiare ed efficacissima capacità di venire al linguaggio che Piersanti esprime. Un linguaggio limpido, pieno di respiro, cartina di tornasole delle vite individuali che si fanno metafora della nostra intera umana condizione in questo scorcio di epoca non più e non ancora, come avrebbe detto Gramsci. L’asciuttezza della trama, al punto che rimane di fatto sullo sfondo, del tutto lontana da ogni invadenza, fino al limite della sua descrizione possibile con una breve sintesi, produce una sequenza di bassorilievi esistenziali da restare senza respiro ad ogni pagina. Gli intarsi del racconto sono molteplici e mobilitano chiavi ironiche e umoristiche, tragiche e persino scientifiche, per rendere una descrizione della contemporaneità estrema nella quale siamo immersi, elegante e dolorosa, senza via di scampo. Non ci sono mai state concessioni nella narrativa di Piersanti e tantomeno se ne ravvisano in questo suo ultimo romanzo. La scarnificazione dei protagonisti procede senza limiti di sorta che non siano quelli di una poetica essenziale e coinvolgente che tende all’universale. I modi in cui i personaggi arrivano ad emergere dal flusso narrativo sono simili all’arrivo di una presenza effettiva con cui si fa da subito e progressivamente conoscenza. Questo però non vuol dire che i tipi psicologici giungano poi a una prevedibilità possibile. La complessità delle loro vite presenterà svolte in buona misura imprevedibili e inaudite, a mostrare, come direbbe Pasternak, che la vita trabocca sempre dall’orlo di ogni tazza. Anche quando sono la decadenza e lo sfacelo a caratterizzare le esistenze dei protagonisti. Questo perché prevale l’arte narrativa di Piersanti nel dipingere, letteralmente, meglio di un manuale di neuroscienze, emozioni e sentimenti. La forza di quelle descrizioni sta nella loro attualità. A Piersanti si addice una poetica del presente: osservata quasi con i mezzi e il metodo di un entomologo, la vita scorre tra le righe cruda e potente, densa di passioni e di sofferenza, di amicizie e di abbandoni. L’attualità esistenziale di noi contemporanei è, comunque, il palcoscenico sul quale chi legge si ritrova a condividere con i personaggi dei suoi libri, le più recondite profondità del proprio sentire. Fino quasi ad arrabbiarsi con l’autore, ad avvertire reazioni corporee di ribellione e rifiuto di quanto si sente leggendo, per poi proseguire magneticamente attratti dalla prossima riga e dalla pagina seguente. C’è una sfida sperimentale non so quanto intenzionale che Piersanti sembra ingaggiare con la capacità di contenere e di fermarsi a riflettere di chi legge le sue parole. Me ne accorgo ora, mentre ho scritto l’ultima frase, che i libri di Piersanti, e in particolare quest’ultimo, li ho letti d’un solo fiato, non riuscendo a sospendere la lettura, come accade quando continui a leggere anche mentre devi bere un bicchiere d’acqua per la sete sopravvenuta. Come in un viaggio, poi, frequentemente accadono svolte che portano a perle poetiche che alleviano il dolore e la passione della lettura. L’estetica del dolore si fa estetica della bellezza. Accade in Ogni rancore è spento che, ad un certo punto e in modo del tutto inatteso, per ragioni che scoprirà chi legge, si incontri la seguente svolta poetica: “Avrebbe voluto chiederlo ma era una curiosità insignificante e non meritava un’emissione di fiato in quel piacevole silenzio che poi silenzio non era. Era una musica, la stessa nota ripetuta delicatamente. Poi proprio davanti a lui si allungò una goccia dal tetto della veranda e cadde sull’erba del prato sollevando uno schizzo d’acqua terrosa. Era appena caduta e già si riformava, identica. Per un attimo raccoglieva tutte le luci della casa come uno specchio. Acqua pura, nient’altro che acqua, preziosissima acqua sorgente di vita. ‘C’è una goccia’ si sentì in dovere di annunciare. ‘Ma guarda che bellezza…’”. Di svolte esistenziali il nuovo romanzo di Claudio Piersanti ne contiene non poche e, come sempre, i personaggi sono netti e laschi, niente assembramenti e nulla di riempitivo. Persino un sentimento, un vissuto drammatico, come l’ipocondria si snoda nell’esistenza trovando un palliativo solo nell’evasione allucinata. Pare che l’unica via d’uscita, in un mondo di sentimenti sempre tentati e mai compiuti, di passioni sfiorate e più temibili che vivibili, sia la fuga in provvisori paradisi artificiali, dove i dolori si stemperano almeno per un poco di tempo. Un’umanità che vive una specie di tempo ultimo pervade i personaggi e, in ogni modo, a far difetto a tutti è il senso di futuro. Se un’ansia si diluisce sarà presto sostituita da un’altra o, addirittura, dall’ansia di non avere ansie. Se si giunge a una temporanea e relativa serenità per la propria condizione, interviene subito la preoccupazione per la vita e i rischi di un’altra persona. Né manca la scissione tra coinvolgimento, sempre comunque almeno in parte trattenuto, e una certa indifferenza per la ripetizione delle umane vicende e, in particolare per la morte. Che aleggia e in una certa misura non esce mai di scena. Non perché generi posizioni rancorose verso il destino, ma sostanzialmente in quanto l’esistenza si propone come un tentativo o, come direbbe Beckett, che sempre si fa presente quando leggo Piersanti, perché a noi non è dato che tentare.

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