Il fruitore leggero. Immagini e parole di paesaggi di Antonio Bergamino

di UGO MORELLI.

Ho sempre pensato che le parole fossero inutili di fronte a immagini di paesaggio. Antonio Bergamino con il suo lavoro fotografico realizza una conferma di questo mio pensiero. Le sue immagini narrano il paesaggio nel suo accadere cogliendone l’istante che non era prima e non sarà più. Non c’è parola – forse quella poetica vi si avvicina – che riesca a farlo.

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Condannata a essere didascalica, la parola che certamente a sua volta crea mondi, stampa una lettura del mondo sul mondo stesso e raramente restituisce il divenire del mondo. Se poi si tratta di cogliere le dinamiche complesse tra esseri umani e mondo, cioè quel margine per certi aspetti aleatorio e mobile, dove il paesaggio appare e scompare, allora le parole si fanno almeno in parte sterili.

Ci vuole l’arte massima di un grande poeta per coglierne la profondità, come accade con Andrea Zanzotto:

«In questo progresso scorsoionon so se vengo ingoiatoo se ingoio»

O un grande incipit di un maestro della lingua, Alessandro Manzoni:

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendio lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna.

O, ancora un poeta contemporaneo, delicato e intenso per la sua forza evocatrice della nostra condizione, Pierluigi Cappello:

Cosí come oggi tanti anni fa
mandate a dire all’imperatore
che tutti i pozzi si sono seccati
e brilla il sasso lasciato dall’acqua
orientate le vostre prore dentro l’arsura
perché qui c’è da camminare nel buio della parola
l’orlo di lino contro gli stinchi
e, tenuti appena da un battito,
il sole contro, il rosso sotto le palpebre
premerete sentieri vastissimi
vasti da non avere direzione
e accorderete la vostra durezza
alla durezza dello scorpione
alla ruminazione del cammello
alla fibra di ogni radice
liscia, la stella liscia, del vostro sguardo
staccato dall’occhio, palpiterà
né zenit né nadir
in nessun luogo, mai.

Che i luoghi siano la fonte della traduzione in paesaggio, la base dell’apertura verso il significato simbolico del mondo, è un fatto. Le immagini esplorano il modo in cui lo diventano e avviene la traduzione in significato. Colgono quello che accade nel registro dell’accoppiamento strutturale tra corpo, mente e mondo, in cui la combinazione tra azione e percezione propone al pensiero di cogliersi nella sua dimensione di macchina semiotica, linguistica e mitopoietica, che a sua volta produce una sorta di surrealtà a partire da esperienze concrete e storicamente situate.

bergamino

È così, del resto, che il paesaggio diventa anche “macchina culturale” in cui è indistinguibile l’immagine dal luogo e il luogo dalla storia e quest’ultima dalla narrazione e dall’invenzione narrativa che se ne fa. In quel processo appare evidente come sia l’immaginazione il mediatore tra mondo interno e mondo esterno nella creazione dell’esperienza e del costrutto che chiamiamo paesaggio. La traduzione dei luoghi in paesaggio mette in immagine la realtà grazie a un’attività simbolica, per cui nella contingenza di una situazione emerge, nello stesso momento, la realtà naturale e la sua traduzione in artefatto: ed ecco il paesaggio. Il visibile e l’invisibile vanno a comporre un’immagine che, narrata mediante il linguaggio, diventa paesaggio. Stimolata dal luogo, l’immaginazione diventa una macchina in grado di mettere in moto una lettura e una traduzione generative, che danno vita all’esperienza di fruizione degli spazi della nostra vita, che noi stessi narriamo come paesaggi. Il paesaggio è, perciò, inscindibile dal linguaggio delle immagini; è e diviene in quel linguaggio; è linguaggio.

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Da quando l’ho visto all’opera non sono riuscito a isolare la presenza di Bergamino dal contesto che stava fotogrando. Per le vie e le piazze di Durazzano, all’improvviso il paesaggio è diventato la scena inclusiva tra luogo, persone, Bergamino all’opera e me che, incluso a mia volta, osservavo osservato. Per fare un’esperienza estetica come quella della percezione e della creazione di significati del paesaggio, ci vuole il concorso di almeno cinque fattori: un creatore (artista o modellatore di paesaggio); un’entità naturale o un’opera dell’uomo (fatta ad arte); un fruitore; un ascoltatore della narrazione dell’esperienza del fruitore; una narrazione.

In questo circuito si inserisce la narrazione per immagini di Antonio Bergamino, al fine di cogliere nella struttura argomentativa di narrazioni “esperte”, cioè dei nativi residenti portatori di esperienza, i criteri di azione, di risonanza e di appartenenza al paesaggio.

Le narrazioni “esperte” hanno questo di caratteristico: essere particolarmente sature ma allo stesso tempo idealtipiche e quindi possono aprire la strada alla comprensione delle forme prevalenti di risonanza tra persone con paesaggi, come fondamenti dei criteri di appartenenza al paesaggio e ai luoghi.

L’analisi per immagini di Bergamino verifica, in fondo, l’esposizione sinestetica di ognuno di noi ai paesaggi della nostra vita, cogliendola mentre aumenta o diminuisce l’attivazione emozionale di fruizione, restituendoci la vivibilità e la vitalità di ogni luogo nel suo divenire paesaggio.

 

Le foto sono di Antonio Bergamino

Il sito di Ugo Morelli è http://www.ugomorelli.eu

 

 

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