Il ’68 e Avellino: memorabili quegli anni? (3)

di GENEROSO PICONE.

IN PREPARAZIONE DEL CONVEGNO ORGANIZZATO DALL’ASSOCIAZIONE “CONTROVENTO” DEL 18 OTTOBRE 2019: IL ’68 IN IRPINIA E IL CASO SAN CIRO.

Le varie puntate sono state pubblicate su “Il Mattino”, edizione di Avellino, il 29 maggio, il 5, il 13 e il 19 giugno 2018

ùLa decisione fu presa celebrando la Messa, come in tante altre occasione, durante la liturgia partecipata che Don Michele Grella e Pio Falcolini avevano inaugurato con i giovani del gruppo di San Ciro. L’idea era di organizzare un’attività di doposcuola per i ragazzi dei quartieri popolari, gli agglomerati urbani dell’Avellino vecchia e nuova che si stavano riempendo di persone e le strategie edilizie e sociali di Palazzo De Peruta dimenticavano. Gli invisibili che Chiara – la protagonista de “La verità dell’ombra”, il romanzo di Franco Festa – aveva preso a cuore per contrapporne la condizione alle furberie e agli intrallazzi dello zio, lo spregiudicato geometra Raucci.

Il modello da seguire era quello rivelato dalla “Lettera a una professoressa” di Don Lorenzo Milani e – più vicino – dalle esperienze napoletane, innanzitutto dal gruppo di Antonino Drago che operava nella periferia, sulla cui traccia si sarebbero formati la Mensa dei Bambini Proletari di Montesanto e i maestri di strada di Marco Rossi-Doria, Cesare Moreno e Geppino Fiorenza. Sant’Abate, Rione Aversa, Valle, Rione Parco, le Selve costituivano i punti di una geografia dell’emergenza sociale che faceva fatica a mostrarsi nella sua crudezza alla città del Corso Vittorio Emanuele, all’Avellino piccolo-borghese lontana nel suo perbenismo e comunque in ben altre faccende affaccendata.

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“Lì non c’era niente – racconta Franco Festa – e lì invece si rivelavano gli aspetti nuovi di una comunità”. Il doposcuola iniziò nel 1968 dopo una incubazione di confronto e riflessione avviata nell’estate del 1967 proprio con la lettura dei documenti di Barbiana: costituì la saldatura tra l’attenzione ai fenomeni antiautoritari e di ribellione che accadevano nel mondo in subbuglio e la sensibilità accesa agli avvenimenti che stavano modificando il volto della città in cui si viveva. “Soprattutto la scoperta della feroce selezione di classe che riguardava i poveri della periferia”, sottolinea Rosalba Delli Gatti, oggi insegnante e moglie di Festa, allora neolaureata in Pedagogia con una tesi proprio su quel progetto. “A nostre spese organizzammo una gita con i ragazzi, era di domenica e le famiglie ci imposero di riportarli a casa entro le 17 perché avrebbero dovuto mungere le vacche”, ricorda Ninì Salerno, in quei giorni maestra alle Selve, contrada rurale alle porte di Avellino. Istruzione e casa divennero allora le questioni al centro delle battaglie. La lotta, per altro, pagava: gli alloggi dell’Iacp di Rione Parco, completati ma vuoti, alla fine vennero assegnati e il merito fu della mobilitazione partita proprio da San Ciro e culminata nella manifestazione del 2 settembre 1969. “Eravamo noi in testa – rievoca Alfonso Iandolo, insegnante e marito di Ninì Salerno – e l’auto con il megafono sul tetto era la nostra, una Cinquecento che abbiamo ancora e che nostra figlia ha voluto per sposarsi”.

Furono i punti di sintesi tra la tensione al rinnovamento religioso – che nella comunità di San Ciro era impersonata da Don Michele Grella – e la passione civile e politica che si proiettava al di fuori della parrocchia, con Pio Falcolini da simbolo. Tra le due dimensioni, insomma, in cui si articolava l’attività del gruppo di San Ciro: la spirituale che si delineava nella verticalità della ricerca nel profondo dell’anima cristiana, e l’altra sociale che si esplicitava nell’orizzontalità del rapporto con la realtà esterna. “Ci parve assolutamente obbligatorio verificare l’esperienza pubblica alla luce di una parola del Vangelo che aveva riacquistato la sua autenticità”, spiega Ninì Salerno. “Nell’equilibrio tra le due istanze, che nella fase iniziale viaggiavano di pari passo, si manifestò la vera anima di San Ciro”, puntualizza Francesco Saverio Festa. Nella grande fluidità delle adesioni, accanto a colore che avevano maggiore attenzione per l’attività politica, maturarono significativi percorsi di fede, con Franco Ausania missionario in Brasile, e di solidarietà, con Pasqualina Ciarcia in Africa. La contestazione alla vigilia di Natale presso i magazzini Standa, il presepe anticonsumistico, i doposcuola e le lotte per la casa e la fase delle occupazioni degli istituti scolastici nel 1969 videro una sintonia precisa. Poi le strade si sarebbero inevitabilmente divaricate.

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Al di fuori della parrocchia di Viale Italia si percepivano momenti di fermento anche intenso. Nei quartieri, a San Tommaso si muoveva il comitato animato dall’assistente sociale Ennio Di Franco con un giovane Enzo De Luca, a Borgo Ferrovia si faceva notare Enrico Fierro, nel centro storico – a Piazza Duomo – si trovava la sede del circolo di Lotta Proletaria guidato da Carlo Franciosi, poi apprezzato archeologo e funzionario della Soprintendenza, assieme a Beppe Sarno, Chiara Argenio, Tonino Capone, Francesco Acone. Qui, Franciosi con la stessa perizia che avrebbe avuto per le testimonianze dell’antichità studiava il contratto dei lavoratori edili, discutendo con Mario “il greco”, operaio nei cantieri, in fuga dall’Atene dei colonnelli. Tina Capone, denominata sul campo “pasionaria”, contestava a ombrellate il pur ragionevole dirigente della Cgil, Michele Rinaldi, e rispondeva schiaffeggiandolo a don Gerardo Marzullo che le aveva rivolto un epiteto non precisamente signorile. Alla proiezione del film “Berretti” interpretato da John Wayne, “insopportabile esaltazione della guerra del Viet Nam” nel giudizio che conserva Franco Festa, nei pressi del cinema Partenio si registrò lo scontro fisico tra extraparlamentari di sinistra e neofascisti. Nella vicina Atripalda si registrava l’attivismo di Ennio Loffredo e Adriana Bruno.

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Aveva fatto clamore quanto accaduto l’11 dicembre 1966, giorno dell’inaugurazione della Biblioteca provinciale in Corso Europa: i giovani del Psiup avevano accolto con l’esplosione di petardi il ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui. Ci furono denunce e conseguenze giudiziarie. La sezione pisiuppina si trovava in via Dante e segretario era il salernitano Gildo Cianfrone. Tra gli avellinesi Tonino Spina, Andrea Preziosi, Nando Malvone, Giovanni De Luca, Dino Percopo, Tonino Troisi: molti di loro avrebbero partecipato anche alle assemblee di San Ciro. Perché un gesto tanto eclatante? “Perché volevamo protestare contro il monopolio borghese della cultura e quella cerimonia ci sembrò la celebrazione di un rito che voleva perpetuare una consuetudine invece da far terminare”, la risposta di Tonino Spina, medico, già vicesindaco del Pd in una delle giunte di Giuseppe Galasso, una lunga militanza a sinistra e oggi disincantato centrista. Nel nome di Lelio Basso, all’interno del Psiup si ritrovavano accanto a Peppino Caputo, Enrico Giglio, Nicola e Roberto Papa, che poi sarebbero confluiti nel Psi e nel Pci. Con Camillo Marino, l’infaticabile organizzatore del festival di cinema neorealista “Laceno d’oro” assieme a Giacomo D’Onofrio, la rottura sarebbe stata sancita dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, fortemente criticata dai giovani del Psiup con un accalorato manifesto pubblico al quale lui replicò in punta di ortodossia russa invocando i “Bicarristi” sulla Primavera di Praga.

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“A San Ciro c’era tutto e il contrario di tutto, noi partecipavamo ai dibattiti e presto cominciammo a denominarli Sanciriaci per la vicinanza di Don Michele Grella a De Mita, mentre Pio Falcolini aveva una formazione più da cristiano per il socialismo”, dice Spina, individuando la biforcazione che si sarebbe avuta in seguito. “Don Michele e Ciriaco De Mita erano amici. – avverte Francesco Saverio Festa – La verità fu che la Sinistra di base della Dc colse la sua istanza di rinnovamento nella volontà di rivitalizzare il mondo cattolico. In Italia, da Bassetti a Bachelet, c’era un’ansia di trasformazione che la Dc ad Avellino si propose di cogliere prestando attenzione a quanto avveniva a San Ciro”.

(3-continua)

LA SCHEDA DELL’ANNO
“Non pretendiamo un Eden, ma solo un angolino di terra dove godere delle nostre libertà”: messa così, parrebbe la richiesta di un documento partorito da chissà quale agguerrita assemblea studentesca e invece è il passaggio più significativo della lettera con 81 firme che viene materialmente consegnata alla redazione di Avellino de “Il Mattino”, che dà conto della notizia il 6 luglio 1968. La particolarità è che a farsi promotrici dell’iniziativa sono 4 ragazzine, età media 11 anni, residente nella zona di via Pironti evidentemente esasperate dall’angustia degli spazi pubblici a loro disposizione soprattutto ora che l’estate invita a vivere all’aria aperta. Si chiamano Caterina Turco – la più grande -, Antonella Valentino, Lucia e Simona Laudato, la più piccola. La loro iniziativa, che a valutare quanto accaduto a 50 anni da allora non avrebbe sortito effetti, riesce comunque a conquistarsi un posto nel dibattito sul nuovo Piano regolatore generale della città: dopo 6 ore di seduta, il consiglio comunale l’approva con 5 emendamenti che dovranno segnare la sua riformulazione. Si apre la fase che porterà all’adozione, una sorta di parentesi larga che per altro ha già visto il rilascio di decine di licenze edilizie da parte del sindaco Angelo Scalpati e che nella giornata del 31 agosto sancirà il punto massimo con un vero e proprio stravolgimento tale da configurare il reale e concreto assetto urbano, a dispetto di ogni previsione urbanistica prossima ventura. “Avellino come Agrigento”, protesterà Francesco Fariello, l’architetto autore del Piano di ricostruzione cittadino, che indica le cause del massacro edilizio della città e punta il dito contro la Sezione urbanistica di Napoli.

Alla Provincia lasciano Bianco, De Vito e Vetrano, neo eletti in Parlamento, per far posto a Mancino, Di Meo e Adamo. Nicola Mancino è il presidente del consiglio di amministrazione dell’Ospedale che firma il licenziamento di 5 medici per divergenti interpretazioni dell’orario di lavoro, eufemismo burocratico per nascondere ragioni di prosaica natura subito al cento di un duro contrasto con l’Ordine avellinese. Qualche settimana dopo, durante un intervento, un medico sarà colpito dai calcinacci nella struttura ai Pennini. La provincia di Avellino è all’ultimo posto nella graduatoria dei posti letti a disposizione.

La rete idrica nel capoluogo e in Irpinia si rivela sempre più un colabrodo, e la faccenda durerà fino a mezzo secolo dopo. Così come le polemiche sul programma dei festeggiamenti del Ferragosto e gli allarmi sulla crisi finanziaria del Festival “Laceno d’oro”, la rassegna di cinema neorealista promossa da Camillo Marino e Giacomo D’Onofrio alla decima edizione, sembrano argomento di ieri. Da Palazzo Caracciolo arriveranno provvidenziali 5 milioni di lire.

Molto neorealista, intanto, è il grido di dolore che parte dai quartieri periferici di Avellino senza fognature. A Rione Parco l’assegnazione degli alloggi Iacp è inspiegabilmente ferma, via Del Balzo è già assediata dal traffico. Sulla Collina dei Cappuccini viene progettata la casa per anziani del “Roseto” e parte la sottoscrizione avviata da Padre Innocenzo Massaro per realizzarla. L’Avellino cede il suo bomber Giampiero Ghio alla Lazio per 80 milioni di lire, il presidente Annito Abate lo aveva acquistato dalla Sampdoria e l’attaccante si era rivelato un autentico talento per la C. In seguito, giocherà anche nell’Inter. Il centravanti dei biancoverdi sarà Fortunato Cesero.

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